La grazia concessa dal presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi a Patrick Zaki, lo studente egiziano laureato lo scorso 5 luglio in studi di genere all’Università di Bologna, chiude un caso che nasce nel 2020. Con il suo arresto, nel febbraio di quell’anno, parte un incubo giudiziario che durerà tre anni e mezzo, compresi i 22 mesi passati a dormire per terra in carcere e le infinite udienze di un processo kafkiano risoltosi il 18 luglio 2023 con una condanna a tre anni di carcere. Una sentenza in teoria inappellabile, anche se soggetta alla valutazione di un governatore militare e del presidente al Sisi, che l’indomani decide invece di concedere la grazia, senza sconfessare la magistratura e chiudendo la partita con un gesto di magnanimità che incassa la gratitudine della premier Giorgia Meloni, soddisfatta per il lavoro della diplomazia italiana.
Allora 32enne, Patrick Zaki fu fermato il 7 febbraio 2020 all’aeroporto del Cairo mentre rientrava in Egitto per una vacanza. Anche se la circostanza è stata smentita dalla procura, le modalità del fermo sarebbero state illegali: gli avvocati di Zaki denunciarono che agenti dell’Agenzia di sicurezza nazionale (la temuta Nsa) lo tennero bendato e ammanettato per 17 ore durante il suo interrogatorio allo scalo cairota. L’attivista inoltre sarebbe stato anche picchiato sulla pancia e sulla schiena e torturato con scosse elettriche. Patrick era tornato a piede libero nel dicembre di due anni fa. L’accusa di “diffusione di notizie false dentro e fuori il Paese” è al centro di un processo in cui rischia fino a 5 anni di carcere. L’imputazione si basa su un articolo che il cristiano Zaki scrisse nel 2019 su attentati dell’Isis e due casi di presunte discriminazioni di copti, i cristiani d’Egitto, che peraltro vedono nell’amministrazione di Sisi un baluardo contro il terrorismo islamico e l’ostilità su base religiosa di ampie frange della popolazione egiziana.
Durante il periodo pre-processuale, tra il febbraio 2020 e il settembre 2021, Patrick aveva subito lo stillicidio di ben 18 udienze in cui furono decisi prolungamenti della sua custodia cautelare passata quasi tutta nel carcere di Tora al Cairo, dopo meno di un mese trascorso nelle celle di due commissariati e di una prigione di Mansura, la sua città natale sul delta del Nilo. Soprattutto durante il primo periodo della pandemia, nella primavera 2020, la sua vicenda giudiziaria fu connotata da nove slittamenti delle udienze per il rinnovo della custodia cautelare. A Tora Patrick ha dormito sempre per terra, usando coperte come materasso e patendo forti dolori alla schiena. La prima visita dei parenti potè riceverla solo dopo cinque mesi e mezzo di reclusione. Un periodo nero in cui l’allora studente dell’Alma Mater ha rischiato 25 anni di carcere per una fantomatica serie di dieci post pubblicati su Facebook che istigavano alla sovversione ma che lui ha sempre negato di aver scritto: sarebbero apparsi su un account che porta due (Patrick George) dei suoi tre nomi principali, ma non sono stati mai resi noti o consegnati alla difesa. I testi erano stati usati per accusarlo di diffusione di notizie false, incitamento alla protesta e istigazione alla violenza e crimini terroristici, reati che nell’Egitto ancora scottato da due rivoluzioni e dal revanchismo della Fratellanza musulmana possono costare anche il carcere a vita.
Dopo oltre un anno di processo, il 18 luglio 2023 arriva una condanna a tre anni di carcere per “diffusione di notizie false”. La sentenza è emessa dal Tribunale egiziano per i reati contro la sicurezza di Mansura. Al termine della lettura della sentenza Zaki è stato portato via dall’aula in manette, attraverso il passaggio nella gabbia degli imputati, tra le grida della madre della fidanzata e degli amici. Avendo già trascorso in carcere 22 mesi in custodia cautelare, mancano da scontare altri 14 mesi. Zaki passa la prima notte da condannato in una cella di sicurezza presso “il commissariato di polizia di Nuova Mansura”, un centro sulla costa del delta del Nilo a una settantina di chilometri a nord di Mansura, la quasi omonima città natale di Patrick, ha riferito uno dei suoi legali, Samweil Tharwat. La notizia della condanna scatena le proteste degli attivisti in Egitto come in Italia. Il Comitato presidenziale per la grazia presenta un’immediata richiesta di grazia al presidente al Sisi. L’indomani, nel pomeriggio del 19 luglio, arriva la notizia del decreto presidenziale: Zaki è libero.