La mafia, come la guerra, uccide oltre le persone anche la verità e se le persone uccise nessuno le può riportare in vita, la verità invece può essere recuperata e gridata sui tetti. Oppure no e questa è ancora oggi la responsabilità che lo Stato ha nei confronti di Paolo Borsellino e degli agenti della Polizia di Stato che vennero massacrati in via D’Amelio. Ed è il peso di questa responsabilità che probabilmente inizia a gravare sulle spalle della presidente Meloni che infatti non parteciperà alla fiaccolata di questa sera. Le contraddizioni della sua maggioranza sono esplose e forse la preoccupano le parole di Salvatore Borsellino che ha annunciato “volteremo le spalle agli impresentabili”, cioè a quelli che “è meglio che non si presentino per ciò che rappresentano” parafraso io.
In questi trentuno tormentati anni, trascorsi dalla strage del 19 luglio, lo Stato è riuscito anche a certificare colpe gravi di depistaggi mai visti nella storia repubblicana, senza che queste colpe abbiano avuto dei colpevoli, è riuscito a certificare l’ininterrotta ricerca di tregua con la mafia, passata letteralmente sul cadavere di Borsellino, senza attribuirle una rilevanza penale, è riuscito addirittura a certificare una corresponsabilità nelle scelte strategiche di governo interno a Cosa Nostra da parte di attori istituzionali, senza che queste pratiche siano state ritenute concorrenti alla prosecuzione del crimine mafioso. Uno Stato che ha saputo certificare la relazione pluridecennale tra Berlusconi e Cosa Nostra, passata per le cure di Dell’Utri e tradottasi in vagoni di denaro pagati in cambio di protezione, senza che questa condotta sia mai riuscita a superare la soglia del penalmente rilevante, essendo il patron di Fininvest e quattro volte Presidente del Consiglio (insomma non proprio un pulcino bagnato) ritenuto sempre e soltanto una vittima della forza di intimidazione della mafia unica, siculo-calabrese. A differenza di alcuni suoi storici “funzionari” politici che invece quella soglia l’hanno varcata di slancio: Dell’Utri, D’Alì, Cosentino, Matacena…
Chissà se è a questa vasta “verità mancante” che faceva riferimento esattamente un anno fa l’attuale presidente della Commissione parlamentare antimafia, on. Chiara Colosimo, quando partecipando a Palermo ad una manifestazione di commemorazione della strage di via D’Amelio, fotografava e pubblicava lo striscione inequivocabile: 30 anni senza verità.
Oggi la presidente Colosimo è nelle condizioni di dare un contributo concreto all’avanzamento di quella verità, ma lo farà (intanto si è circondata di collaboratori e collaboratrici di riconosciuto valore come Tano Grasso, presidente onorario della Fai)? Perché, nemmeno a farlo apposta, questo passato che non passa mai e che resta lì, ad ogni giro di boa del potere italiano, a fare da cartina al tornasole, offre anche a questa Commissione ed al governo ineludibili occasioni per schierarsi da una parte o dall’altra.
Due esempi.
La lettera di Marina Berlusconi che arriva come una cannonata dopo l’ultima decisione investigativa assunta dalla Procura di Firenze che ha ordinato una nuova perquisizione dell’abitazione di Dell’Utri, è un fatto politico vero che infatti pretende ed ottiene reazioni subitanee, a riprova della sostanziale (e sostanziosa) geografia di potere nel centro-destra. Gasparri si è spinto a dire che la lettera di Marina Berlusconi dovrebbe essere portata nelle scuole (magari al posto di quelle dei partigiani condannati a morte dai fascisti… così cupe)! Ma la Colosimo, che ha più volte ricondotto la sua stessa ispirazione politica alla “lezione” di Paolo Borsellino, non può ignorare che quel Luca Tescaroli, oggi aggredito come fosse un pazzo scatenato alla guida di un suv, fu colui che ricevette (allora era pm a Caltanissetta) dalle mani di Agnese Borsellino i primi scampoli dell’intervista televisiva concessa da Paolo Borsellino ai giornalisti francesi, Calvi e Moscardo, due giorni prima della strage di Capaci, nella quale Borsellino parla dei rapporti tra Dell’Utri, il mafioso Vittorio Mangano e Berlusconi. Quella intervista che nemmeno il compianto Roberto Morrione riuscì mai a far passare sui canali Rai che contano. La presidente, così vicina “al” Presidente, unirà la sua voce a quella di Gasparri o sosterrà l’azione della Procura di Firenze?
Secondo esempio: la separazione delle carriere tra magistrati giudicanti e pubblici ministeri. E’ noto che su questo tema si accese una discussione critica tra Falcone e Borsellino (insieme a molti altri magistrati), a causa dell’iniziale progetto istitutivo di quella che sarebbe poi diventata la Direziona nazionale Anti mafia. Borsellino fu tra i primi a sottoscrivere una lettera aperta, diretta all’amico Falcone, criticano il progetto proprio per il rischio di incrinare in maniera irreparabile l’unitarietà della magistratura (giudicante e non) e quindi la sua indipendenza rispetto al potere esecutivo. Oggi la presidente Meloni, che ha richiamato all’ordine Nordio sul concorso esterno, ha corretto la mira dicendo che è senz’altro prioritario per il governo arrivare finalmente (!) alla separazione delle carriere (da sempre cavallo di battaglia di Forza Italia). La storia ci racconta che quell’acceso dibattito tra Falcone, Borsellino e gli altri firmatari, portò a ribadire il valore dell’indipendenza della magistratura nella sua unitarietà. Cosa farà la Colosimo? Raccoglierà il testimone lasciato da Borsellino su indipendenza ed autonomia della magistratura?
Basterà ascoltare le sue parole in questo giorno di commemorazione. Quelle che dirà dopo aver riconosciuto l’alto valore civile dei servitori dello Stato che hanno sacrificato la vita… etc. etc.