Cultura

La stampa blasonata continua a ignorare gli scrittori indie. Eppure qualcosa si muove

Lo scorso mese Nomisma ha pubblicato uno studio sulle vendite nelle librerie in Emilia Romagna che ha causato il malcontento tra gli autori indie perché, come al solito, non sono stati presi in considerazione. A questo ho dedicato una mini-inchiesta su Leggereonline.com raccogliendo gli sfoghi degli autopubblicati.

Che gli indie siano considerati scrittori di serie B è una vecchia storia. Eppure lentamente qualcosa si muove perché il Salone del Libro di Torino da due anni dedica uno spazio con workshop proprio agli autopubblicati. Inoltre, in giro per l’Italia stanno nascendo incontri e manifestazioni aperti anche ai self o addirittura firmacopie riservati a questi autori. Ad esempio, Elisabeth Jennings organizza da anni la Indie Unconference a Matera dove arrivano da tutto il mondo per scambiarsi idee sull’editoria digitale.

Per non parlare del Premio Letterario Amazon Storyteller riservato ai self, che ogni anno raccoglie circa 1500 opere. Per due edizioni ho fatto parte della giuria e ho potuto constatare la crescita della qualità delle opere in gara.

Eppure la stampa blasonata li ignora, raramente organizza interviste agli indie di successo: accade solo quando uno dei loro libri viene acquisito da qualche editore tradizionale. Il motivo? Voci di corridoio sostengono che sono proprio gli editori a stipulare accordi con giornalisti, blogger e influencer per impedire recensioni (e quindi pubblicità) dei romanzi degli autori indie.

Secondo i dati dell’Associazione Italiana Editori in Italia si pubblicano 160 libri al giorno, vale a dire quasi 60mila ogni anno, e la maggior parte rimane sugli scaffali e poi torna all’editore. Gli studi stimano una media vendite molto bassa: la maggior parte non raggiunge le 300 copie, superare le seimila è un successo, ma solo chi vende tra 50 e 100mila copie può mantenersi scrivendo. E sul fronte vendite, come vanno gli indie? Dipende, intanto non ci sono dati precisi perché non rientrano nelle rilevazioni ufficiali. In alcuni casi, riescono a vendere più di molti colleghi che arrivano in libreria e che ricevono grande eco su quotidiani e periodici.

Anche per i responsabili delle piattaforme non è semplice dare numeri precisi. Per Giacomo D’Angelo, Ceo di StreetLib.com, la produzione dei libri digitali è in crescita, tuttavia, la loro diffusione non è assolutamente tracciata né dall’Istat né dall’Aie. La società opera principalmente su tre linee: ebook, audiobook e libri cartacei venduti in Pod-print on demand. Rispetto al 2019, ultimo anno “normale” pre-pandemico, nel primo semestre del 2023 il fatturato ha registrato una crescita percentuale a doppia cifra su tutte le tre linee. D’Angelo spiega che è indispensabile che chi opera nell’editoria si renda conto che il futuro risiede in un approccio “digital first“, in cui il formato digitale non può essere relegato a fratello minore del cartaceo, ma deve diventare lo standard, il “formato guida” a cui poi eventualmente far seguire il cartaceo, ma solo quando viene richiesto, in modo di stampare meno libri.

Donato Corvaglia, responsabile di Youcanprint, sottolinea la rivoluzione sul piano della distribuzione: per la prima volta una piattaforma di self publishing ha raggiunto numeri considerevoli non solo sul lato pubblicazione. I loro libri cartacei della società italiana sono disponibili sui principali bookstore, tra cui Amazon, LaFeltrinelli, Ibs, Google books e in più di 4.500 librerie fisiche, mentre gli ebook sono in vendita in oltre 30 store online italiani e in 50 paesi di tutto il mondo. Infine, gli audiolibri sono disponibili su Audible e su altre piattaforme tra cui Spotify, Storytel, Google Play, Kobo, Mondadori, Apple Books, YouTube Music.

E Amazon? Come al solito le bocche sono cucite; però leggendo blogger e stampa specializzata d’oltreoceano, si percepisce che le vendite dei self hanno registrato un lieve calo. Se è successo negli Stati Uniti, possiamo pensare che sia accaduto anche in Italia…