di Chiara Piana
Si può provare tanto dolore per qualcuno che non si ha mai conosciuto di persona? A me è capitato più volte e non mi so spiegare se sia, in qualche misura, normale oppure se io debba considerarmi un’anomalia. Strano o no che sia, mi è successo anche con Andrea Purgatori.
Non mi esprimerò sulle sue straordinarie doti da giornalista e sulla sua carriera, perché non ne ho le capacità e perché molti altri – e infinitamente più esperti di me – le hanno già sottolineate e continueranno a farlo nei prossimi giorni; per una questione anagrafica l’ho conosciuto solo come conduttore e non volevo recepire passivamente la notizia della sua scomparsa senza ringraziarlo per avermi trasmesso il suo immenso sapere attraverso il suo programma. Egli ha contribuito in modo sostanziale a formarmi come studentessa e come cittadina e mi ha stimolata ad approfondire vicende delle quali o sapevo poco o ero del tutto ignara.
Ogni settimana ha saputo soddisfare la mia inguaribile curiosità, fornendomi tutti gli strumenti per imparare a ragionare in modo critico e avere consapevolezza della realtà, presente e passata: in sintesi, mi ha permesso di sviluppare quella libertà di pensiero che è fondamentale in una democrazia e per una ventenne ancora in via di formazione. Senza i suoi “racconti”, come era solito definirli, sarebbero permaste molte zone d’ombra nella mia conoscenza della storia italiana e non avrei potuto scrivere i miei precedenti articoli, frutto di riflessioni tratte anche da quanto avevo appreso da questo giornalista.
Uscendo, poi, dai riconoscimenti più comuni, confesso che Purgatori mi faceva anche sentire meno sola nell’interessarmi ai misteri del nostro Paese, perché sapevo che importavano anche a una persona colta come lui, la cui maestria nella narrazione rendeva piacevole ascoltare persino le storie più turpi. Ho riempito decine e decine di fogli, appuntandomi quanto più possibile dei suoi racconti, e avrei volentieri continuato a farlo, perché avevo fame delle sue storie.
Pertanto, di fronte alla sua scomparsa, non posso fare a meno di chiedermi come sia possibile santificare persone divisive e diseducative e non, invece, un giornalista che si è distinto per professionalità e cultura: un giornalista che ha sempre cercato di unire la collettività nella verità, condividendo la sua esperienza e la sua conoscenza con lettori e spettatori. L’unica risposta plausibile è che l’Italia è un Paese al contrario, dove tutto ciò che sarebbe normale e giusto, non lo è, mentre si beatifica ciò che andrebbe deplorato.
Ogni volta che muore una persona di tale autorevolezza, mi pongo la stessa domanda: perché non sono nata prima, per godermela più a lungo? In un’epoca in cui individuare dei punti di riferimento è sempre più difficile, per me – e sicuramente per tantissimi altri – Purgatori è uno di essi.
Mi auguro che il suo nome e il suo operato non vengano mai dimenticati, ma che, anzi, siano portati a esempio soprattutto per la mia e le prossime generazioni.