Di Ivo Andrić ho ereditato la stessa koiné bosniaca che ho riversato nella cura dell’unica traduzione italiana di Poesie scelte (2000), tratta dalle sue due raccolte di poesia Ex Ponto (1918) e Inquietudini (1920), scritte durante la prima guerra mondiale, in carcere (Spalato, Maribor e Sebenico) e al confino (Ovarevo e Zenica). Era attivista dell’organizzazione rivoluzionaria “Giovane Bosnia”, dalle cui fila è uscito Gavrilo Princip, il 28 giugno 1914 uccisore dell’Arciduca d’Austria. L’esatto momento in cui, per Andrić, la storia universale si fonde con la biografia personale che descrive in una nuova forma di narrazione.

La poesia è rivolta alla fede non indottrinata, ma sentita attraverso la propria esperienza spirituale, in cui la sconfitta è vissuta come fine per risorgere. Il dolore per Andrić non si subisce, si tiene: “Tutto quel che vedo è poesia, / tutto quel che tocco è dolore”. Ed è così, storicizzato, che dalla poesia è confluito nel romanzo Il ponte sulla Drina, che per la “forza epica” nel 1961 ha ricevuto il premio Nobel per la letteratura. I racconti e i romanzi devono molto alla poesia di Andrić: anche se la riteneva “subalterna alla sua opera”, ha continuato a scriverla fino alla fine dei suoi giorni. Il presente contribuito contiene poesie inedite, tradotte per questa occasione.

S.S.

Il pensiero

È iniziata l’oscurità e anche la paura
e ogni luce è scomparsa
quando Dio, come una saetta mite ha inviato
il conforto che arriva dal pensiero.

Il conforto che arriva dal pensiero
è il più grande dei doni
del celeste spazio che non conosciamo,
e nemmeno l’ombra sua è
la più grande fortuna terrestre.

Ecco, misero me,
l’immagine di ogni pena terrestre:
delle ingiustizie, delle pene, del dolore,
viaggio rilucente, sulle nuvole,
regna su tutte le armonie,
supportato dal conforto che arriva dal pensiero.

*

Nella notte. Mi spossa il pensiero
dell’esistenza di tanti
esseri nel buio. Tutto
dura così a lungo. Al mondo
si aprono ancora nuovi
giorni come da sempre.
Mi bruciano gli occhi
per tutto ciò che ho visto. Grande
mondo. Grande peso e grande
spossatezza. Notte fonda.
L’uomo è solo.

Sete di perfezione

Perché spesso aspiriamo a passare
e innalzare i pensieri da questo mondo
dividendo con un cuore folle
la grande altitudine divina
tra il meglio e il peggio per una momentanea imperfezione
e terribile sete, profonda e sacrosanta,
Per questa sete tutti siamo santi, una volta per tutte
l’uomo nel suo vagabondare
e l’albero desideroso di crescere dritto.
Perché la verità ci infuoca
come fuoco accerchia tutto e tutti,
chi cammina dritto e chi inciampa.
Ci ingannavano i nostri occhi e spirito
quando in alto alzavamo le mani
nel desiderio di portare la bandiera, di primeggiare,
col pensiero di portare la luce.
Perché il fuoco oceano che tutto fa,
che tutto penetra, non vede, non sa
il bosco vanaglorioso delle nostre mani,
né di chi annota, né c’è traccia
dell’inquietudine dei nostri giorni quando
desideriamo con dolore da questo mondo
innalzare il cammino e i pensieri.

Al mare

Anche il cielo rosso si è spento.
Stasera nessuno è venuto con me
per l’oscuro e lontano viaggio.
Solo in fondo al cielo viaggia un filo del mare,
tagliente e freddo
come una spada, e il pensiero va alla pena

Il canto del fuso

Hanno ucciso il variopinto steccato e diviso il paese. Hanno
portato via la nostra giovinezza, distrutto e spento il canto, ci è rimasta
muta, monotona cantilena del fuso tra le mani delle donne.
Inizia il canto: tremulo albero di frassino, sottile filato,
povero tessuto per gravi ferite e il copricapo delle vedove!
Tanta attesa, lunga attesa e vana speranza!
Spaventoso pianto di Arad, oh lacrima di Zenica e di Marburgo!
Sposalizio di sangue che non ha fine; abbiamo riempito il cielo di pianto
e la terra di tombe! Tre volte il vento ritornava da noi;
il cielo si è rattristato; la pietra si è spezzata, ma non il sottile filato
nelle mani della madre…
Sulla lastra lavata su cui abbiamo giocato allegri da bambini,
si sente il suono fievole del fuso e si srotola il filo come una
speranza senza fine.

***

Ivo Andrić (Travnik, 10 ottobre 1892 – Belgrado, 13 marzo 1975). Dopo aver frequentato la scuola elementare a Višegrad, sul fiume Drina – che, con il suo ponte, diventeranno metafora del “nesso tra Est e Ovest” – nel 1911 a Sarajevo consegue la maturità classica e comincia a pubblicare le prime poesie. Inizia gli studi universitari a Zagabria, a Vienna e, in seguito, a Cracovia. Alla fine della prima guerra mondiale, tra il 1920 e il 1921, intraprende la carriera diplomatica a Roma, come terzo segretario presso la Santa Sede. Nel 1924 consegue il dottorato di ricerca presso l’Università di Graz. Nel 1941 si dimette da ambasciatore a Berlino e ritorna a Belgrado. Si ritira a vita privata e scrive i tre romanzi La signorina, La cronaca di Travnik e Il ponte sulla Drina, che saranno pubblicati nel 1945. Le traduzioni de Il ponte sulla Drina escono contemporaneamente a New York, Oslo, Milano e Monaco. Prima di morire di ictus cerebrale, Andrić visita la Bosnia e pronuncia parole della saggezza popolare che sentiva sue: “L’uomo è debitore alla propria terra natia”. La raccolta postuma di poesie Cosa sogno e cosa mi accade, è uscita nel 1976.

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