a cura di Elisa Bianco, responsabile corporate engagement

D’estate le preferenze di acquisto e consumo delle persone sono più facilmente indirizzate verso pesce e molluschi, ma dal 2020 i consumatori potrebbero imbattersi in un’etichettatura sulla “Acquacoltura sostenibile” che rischia di confonderli. Parliamo della certificazione sviluppata dal Ministero dell’agricoltura e delle associazioni di piscicoltori (API) e di produttori di molluschi (AMA) che permette di etichettare i prodotti ittici come provenienti appunto da “acquacoltura sostenibile” nonostante la mancanza delle più basilari garanzie di benessere animale. Nel disciplinare di riferimento infatti non viene data una definizione chiara di benessere animale, né sono inclusi criteri basici per eliminare quelle che sono le principali cause di sofferenza per i pesci, come le densità di allevamento estreme e la qualità dell’acqua insufficiente.

Essere Animali ha quindi deciso di lanciare la campagna Acquacoltura INsostenibile con l’obiettivo di informare cittadini e cittadine sulle lacune di questa certificazione e di mettere pressione sulle istituzioni affinché questo disciplinare affronti in maniera significativa il benessere dei pesci allevati.

Pur essendo molto spesso erroneamente considerati incapaci di provare dolore — forse perché il loro modo di esprimere questa sensazione non è così evidente ai nostri occhi come accade per altre specie — questi animali sono invece in tutto e per tutto esseri senzienti. A definirli tali è stata l’OIE, organizzazione mondiale per la sanità animale, e il loro benessere è considerato un elemento ormai così importante da essere menzionato esplicitamente in tutti i documenti ufficiali che affrontano il tema della sostenibilità in acquacoltura, dagli orientamenti strategici 2021-2030 della Commissione europea alle linee guida per le aziende sviluppate dalla Global Reporting Initiative.

Secondo Essere Animali la lacuna più lampante del disciplinare del Ministero è che, in totale antitesi con gli indirizzi di sviluppo intrapresi da normative e standard di certificazione internazionali, non prevede l’obbligo di stordimento efficace prima della macellazione, di fatto non garantendo il benessere degli animali neanche durante le fasi di fine vita. Cosa che non accade per nessun animale terrestre, per i quali l’obbligo di stordimento è previsto per legge.

Oltre a una definizione chiara di benessere animale e all’obbligo di stordimento, le modifiche che Essere Animali richiede includono poi la riduzione delle densità massime di allevamento e la definizione di parametri migliorativi di qualità dell’acqua. Un elenco dettagliato delle nostre richieste è disponibile qui.

L’etichettatura dei prodotti alimentari può essere uno strumento chiave di comunicazione tra produttore e consumatore, perché consente a chi acquista di confrontare i prodotti a disposizione e compiere scelte più consapevoli e sostenibili. Questa certificazione, tuttavia, non offre garanzie di sostenibilità in tema di benessere dei pesci e anzi rischia di indurre in errore i consumatori. Chiediamo che il disciplinare venga modificato per includere indicazioni trasparenti e chiare su come tutelare il benessere dei pesci negli allevamenti, perché come afferma anche l’OIE, non esiste sostenibilità senza benessere animale.

Foto di Selene Magnolia/We Animals Media

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