Sessantamila all’Olimpico ieri sera per la prima tappa del concerto dei Maneskin, quei bravi ragazzi di Monteverde così tanto rockers e così poco maledetti.
Con Damiano, un frontman pazzesco che ha sempre fatto della propria parte femminile un vanto – perché è scavando nella femminilità che ogni uomo può trovare il meglio di sé – i Maneskin sono tornati a casa, dopo aver girato i palchi di tutto il mondo.
Due tappe sold out nella loro città eterna e nel loro Stadio, l’Olimpico di Roma, alla cui curva (Sud) Damiano ha dedicato le prime parole di apertura (“che emozione ragazzi, io di solito in questo stadio ci vengo sempre per stare là”, indicando l’Olimpo della tifoseria romanista).
Intorno a loro tante generazioni a confronto, dai più nostalgici ai più piccoli, uniti dalle note di chi ha riportato in Italia e sui palchi più impensabili (vedi Sanremo) la musica rock.
E proprio la musica è stata l’unica protagonista, pochi fronzoli e tante note altissime, assoli di chitarra e voce a cappella nella notte infuocata di Roma. Le loro idee, i loro messaggi, viaggiano in parallelo, senza fare rumore, e questo ci piace. Quei bravi ragazzi ci piacciono perché ci raccontano che le nuove generazioni possono essere migliori, che si può amare il rock senza gli eccessi di una vita dissoluta e dissennata a tutti costi, che si può essere il leader di una band e parlare di stereotipi, di pari opportunità e persino di endometriosi.
E poi (lo avevo già scritto), Damiano ci aiuta, soprattutto a noi mamme di figli maschi, perché trasmette un nuovo modello maschile rispetto a quello che per anni ha ingabbiato i ragazzi e le ragazze. La favola di Monteverde continua, loro ci credono perché a vent’anni si può. E stasera si replica.