Fra i mille e i 1.400 morti. Metà dei quali per malattie cardiovascolari. E almeno 700 ricoveri in ospedale. Questo l’impatto dello smog sulla popolazione di Torino. Lo si ricava dai “dati statistici” contenuti in un avviso di chiusura indagini notificato, a sorpresa, ai vertici dell’amministrazione del Comune di Torino e della Regione Piemonte. La Procura di Torino procede per inquinamento ambientale in forma colposa. L’accusa è di non avere fatto abbastanza – tra “misure inadeguate”, “interventi mancati”, “inefficacia”, “deroghe”, “imprudenza”, “negligenza”, “imperizia” – per combattere le concentrazioni di sostanze nocive.
Gli indagati sono sette: Sergio Chiamparino, presidente (Pd) della Regione Piemonte fino al 2019, con Alberto Valmaggia, assessore all’ambiente nella sua giunta; Piero Fassino, sindaco fino al 2016, con l’assessore alle politiche ambientali Enzo La Volta; Chiara Appendino, sindaca pentastellata di Torino dal 2016, con le due figure che si avvicendarono nella carica di assessore comunale alle politiche ambientali, Stefania Giannuzzi e Alberto Unia. Escono di scena altre due persone che erano state iscritte nel registro degli indagati: l’attuale governatore di centrodestra, Alberto Cirio, e il suo assessore Matteo Marnati, perché la contestazione si ferma al 2019. A loro carico gli accertamenti non sono ancora terminati.
I numeri su ricoveri e decessi sono il prodotto di un’indagine epidemiologica che parla di un “eccesso di casi”, rispetto ai dati attesi, attribuibili al superamento dei valori-soglia di Pm10, biossido di azoto, Pm 2.5. Numerosi sono gli addebiti mossi alle amministrazioni. Il Piano regionale per la qualità dell’aria, per esempio, fissò un “orizzonte temporale di rientro dei limiti al 2030” violando l’obbligo di “procedere il più rapidamente possibile”. I meccanismi di attivazione delle misure da prendere si basavano su sistemi di allerta che scattavano solo dopo giorni e giorni di sforamenti. I divieti alla circolazione delle auto avevano troppe esenzioni. Mancavano controlli sul riscaldamento nelle case.
Alcuni rimproveri sono basati su un confronto (svolto nel corso di una consulenza di tipo urbanistico) fra Torino e altre città italiane ed europee. Il capoluogo piemontese, rispetto ad altre metropoli più virtuose, è stato carente in materia di zone a traffico limitato, stalli per la ricarica dei veicoli a trazione elettrica, promozione di trasporto pubblico e bike-sharing.
L’inchiesta è stata aperta dopo un esposto di Roberto Mezzalama, presidente del comitato Torino Respira, affiancato dagli avvocati Marino Careglio e Giuseppe Civale. “Usiamo il diritto per tutelare l’ambiente”, è il suo commento. Quanto alle difese, affermano di avere fatto tutto il possibile considerando i pochi margini di manovra dell’azione amministrativa, le implicazioni politiche, il clima e anche la particolare conformazione geografica di Torino. Ora hanno 20 giorni di tempo per farsi interrogare e chiedere degli approfondimenti di indagine.