C’è un filo nero – come quello scoperto per la strage di Bologna – che lega la strage di Capaci alla destra terroristica di Avanguardia Nazionale e in particolare al suo fondatore Stefano Delle Chiaie? Gli inquirenti di Caltanissetta indagano ormai da tempo e scavando nella storia delle indagini sull’attentato che inghiottì la vita e il lavoro di Giovanni Falcone hanno ricostruito come forse già nell’autunno del 1992 potesse essere almeno esplorata la pista nera. Nell’ordinanza di custodia cautelare – che ha portato oggi all’arresto dell’ex deputato missino ed ex legale di Delle Chiaie Stefano Menicacci – oltre 370 pagine delle 536 complessive, firmate dal giudice per le indagini preliminari Santi Bologna, sono dedicate alla millimetrica ricostruzione della informativa Cavallo (5 ottobre 1992 ) in cui un allora capitano dei carabinieri aveva raccolto le dichiarazioni di una donna, Maria Romeo, legata al pentito Alberto Lo Cicero, che collocava il numero uno di Avanguardia nazionale, in Sicilia a caccia di esplosivo prima che l’autostrada tra l’aeroporto di Punta Raisi e Palermo diventasse un cratere. “Un mero spunto investigativo – scrive il giudice – che non fu debitamente approfondito né nel 1992, né nel 2006-2007, ma solo a partire dall’invio dell’atto di impulso della Dna del 11 novembre 2021”. Molti i motivi del mancato focus: su tutti i difficili rapporti e dialogo tra le procure di Palermo, Caltanissetta (competente a indagare) e l’allora neonata Procura nazionale antimafia e l’attendibilità ritenuta labile da alcuni pm della donna, la morte dello Lo Cicero.
Il depistaggio – Ma è proprio indagando che gli inquirenti hanno scoperto come Menicacci cercasse spasmodicamente di collocare fuori dalla Sicilia il suo ex assistito. Si tratta di uno dei personaggi più controversi della storia dell’Italia recente e il cui nome è stato accostato alle grandi stragi degli anni Settanta, come piazza Fontana o Bologna, e a omicidi eccellenti, come quello del giudice romano Vittorio Occorsio, ma i processi lo hanno sempre visto assolto per “non aver commesso il fatto” o per “insufficienza di prove”. Per far comprendere il calibro di Delle Chiaie (morto nel 2019) agli atti dell’inchiesta viene ricordato come dopo l’arresto e l’estradizione dal Venezuela portato “nell’aula della Corte di Assise di Bologna per rispondere della strage del 2 agosto, al suo apparire gli imputati Cavallini e Fachini, Fioravanti e la Mambro si alzarono rispettosamente in piedi…”. Gli ex Nar sono stati condannati all’ergastolo in due diversi processi per il massacro della stazione come lo è stato un altro componente di Avanguardia nazionale, Paolo Bellini. Quello stesso che Menicacci cita in una conversazione con Domenico Romeo: “Dopo tutti sti anni ancora a rompere i coglioni … e questo è tutto il processo Bellini, vedi!?”. Ma quest’ultimo dovrà affrontare l’appello dopo la condanna al fine pena mai, mentre Delle Chiaie all’epoca fu prosciolto per Bologna. E probabilmente non si potrà accertare una presunta partecipazione al progetto stragista mafioso. In Sicilia era ufficialmente per la campagna elettorale della neonata Lega Nazionale Popolare.
Come spiega il procuratore di Caltanissetta Salvo De Luca: “L’indagine che ha portato agli arresti domiciliari dell’avvocato Stefano Menicacci e di Domenico Romeo nasce nell’ambito delle nuove inchieste sulle stragi del ’92. In quel contesto intercettiamo una conversazione tra loro e la moglie di Stefano Delle Chiaie durante la quale Menicacci invitava i suoi interlocutori a negare che Delle Chiaie si fosse trovato in Sicilia nel periodo precedente all’attentato. Addirittura a Romeo era stato dettato una sorta di decalogo a cui attenersi nel corso delle sommarie informazioni rese ai pm”. Il Romeo in questione è Domenico, fratello della donna che ascoltata anche recentemente aveva parlato al capitano Cavallo di Delle Chiaie, del rapporto con il fratello e dell’avvocato Menicacci. Riascoltata in questa ultima indagine le sue dichiarazioni non sono state ritenute attendibili. Eppure Menicacci in allerta per le nuove indagini sui rapporti tra Cosa nostra e destra eversiva, “che si riteneva in qualche modo una partita chiusa”, ha cercato di depistare le indagini “cercando e riuscendo ad inquinare la deposizione di Domenico Romeo e Maria Carola Casale (moglie di Delle Chiaie), testimoni a conoscenza di specifiche circostanze in ordine ai rapporti non solo” tra lui e Delle Chiaie “ma anche in ordine a possibili frequentazioni siciliane dello stesso”.
Le intercettazioni – Cruciale per comprendere l’interesse di Mencacci a far sparire il suo ex cliente dalla Sicilia nei mesi precedenti la strage una intercettazione del 24 maggio 2022, successiva alla messa in onda di un servizio di Report in occasione dell’anniversario della strage del 23 maggio 1992. L’avvocato parte subito all’attacco: “Tu ti stai a mette nei guai! … Dici delle cose palesemente false che… Adesso questi cercano di far credere che Delle Chiaie Avanguardia Nazionale siano stati coinvolti con la mafia … e con i servizi segreti per la strage di Capaci!”, Romeo tenta di rispondere ma il legale rincara la dose facendo riferimento alle dichiarazioni della sorella. La lunga conversazione riguarda anche un racconto di Maria Romeo a Report con al centro Lo Cicero e un incontro con Paolo Borsellino, poco prima che il magistrato morisse con la sua scorta in via D’Amelio. Menicacci mostra all’incredulo interlocutore le immagini: “Eccolo Delle Chiaie, Vedi! Ti vogliono incastrare!! Se ti incastrano a te ti danno l’ergastolo!”. Menicacci quindi intima Romeo a smentire e cambiare la versione: “Di’ semplicemente che ti sei confuso con (incomprensibile), sei tornato in Sicilia per affari tuoi e che tu l’hai portato fino a Ragusa…” . Interrogato dagli inquirenti Romeo, in accordo con Mencacci, aveva anche negato di conoscere il capo della P2, Licio Gelli. Anche con la compagna di Delle Chiaie Menicacci interviene e il 30 maggio 2022 e la loro conversazione viene intercettata. La donna ricordando dice : “… e lui in Sicilia c’è stato solo un anno, per tre giorni se non sbaglio … ehh …“, e l’avvocato: “in che periodo, questo è importante! in che periodo?” e lei: “Se non sbaglio era estate, sì se non sbaglio era estate, però adesso …”, e Menicacci: “Dove è stato quei tre giorni? eh … vatti a ricordare, non me lo ricordo Ste … non me lo ricordo perché erano proprio gli inizi … che dopo non mi sembra che fosse il 92, ma il 93”. Menicacci però non pare sollevato: “No, questa storia dei tre giorni in Sicilia, non la tirare fuori” e la donna: “No, no, assolutamente no! … no, non, non ci penso proprio”.
Riflette il gip: “Una precisazione deve essere subito compiuta: la circostanza relativa alla presenza del Delle Chiaie in Sicilia per tre giorni su cui il Menicacci la invita a serbare il silenzio con gli inquirenti, sembrerebbe, quindi, diversa da quella inerente la accertata presenza a Ragusa di Delle Chiaie insieme a Romeo, sia per gli anni indicati dalla Casale (1992-93) sia per l’assenza del Romeo in quest’ultima occasione. Si può dunque concludere che si tratti di due diversi periodi di permanenza del Delle Chiaie in Sicilia“. Due i punti certi quindi fino a questo punto la presenza per due volte in Sicilia di Delle Chiaie e la volontà di Menicacci di annichilirle dalla storia giudiziaria.
Il movente – Ma perché evitare che gli inquirenti possano provare una presenza di Delle Chiaie che sarebbe solo il punto di partenza di una indagine sugli ipotizzati legami tra Cosa nostra e destra eversiva con sullo sfondo la presenza di servizi segreti deviati? Per il giudice la vicinanza a Delle Chiaie avrebbe portato Menicacci a “essere utilizzato per ‘attualizzare’ l’interesse investigativo sulla sua persona, essendo egli già stato indagato (tra gli altri insieme ai defunti Licio Gelli e Stefano Delle Chiaie) per concorso esterno in associazione mafiosa nel procedimento meglio noto come “Sistemi Criminali”. “In altri termini, dall’agire di Menicacci, più che l’intento di agevolare cosa nostra coprendo le cointeressenze – allo stato, non dimostrate – con la destra eversiva nella pianificazione delle stragi (ipotesi che l’indagato parlando con Adriano Tigher definisce una “volgare menzogna”), sembra trasparire solo il suo personale interesse a non vedersi nuovamente oggetto di indagine”.
Il passato che ritorna? – L’inchiesta Sistemi criminali risale alla fine degli anni ’90. Secondo i pm di Palermo i boss di Cosa nostra fra il 1991 ed il ’93, con l’appoggio della massoneria deviata e dell’estrema destra, avevano progettato un golpe e volevano “dividere” il meridione dal resto d’Italia. Un’ipotesi che era contenuta nella richiesta di archiviazione presentata al gip nel 2001. I magistrati sottolineavano nel provvedimento che erano scaduti i termini delle indagini senza che fossero emerse ”prove certe” nei confronti dei 14 indagati: il capo della P2 Licio Gelli (per cui per i giudici di Bologna c’è la prova eclatante che contribuì all’attentato del 2 agosto 1980, ndr), Stefano Menicacci, Stefano Delle Chiaie, Rosario Cattafi, Filippo Battaglia, Toto’ Riina, Giuseppe e Filippo Graviano, Nitto Santapaola, Aldo Ercolano, Eugenio Galea, Giovanni Di Stefano, Paolo Romeo e Giuseppe Mandalari. Secondo la tesi della Procura, Cosa nostra ”voleva farsi Stato”, e avrebbe tentato di abbracciare ”un golpe separatista”.
I capimafia, Riina, Provenzano, Madonia e Santapaola avrebbero deciso nel ’91 una ”strategia della tensione” (omicidio di Salvo Lima, stragi di Capaci e via D’Amelio, gli attentati a Roma, Firenze e Milano), che sarebbe poi stata affiancata da un piano, proposto da Licio Gelli, Stefano Delle Chiaie e Stefano Menicacci, che prevedeva ”un nuovo progetto politico”: la creazione di un movimento meridionalista e la nascita delle Leghe meridionali. Il progetto, però, alla fine del ’93 si interruppe: secondo i pm la mafia cambiò gli appoggi politici e ”furono dirottate tutte le risorse – scrivevano i magistrati – nel sostegno di una nuova formazione politica nazionale apparsa sulla scena”. Il provvedimento, firmato dall’allora procuratore aggiunto Roberto Scarpinato, dai sostituti Nico Gozzo e Antonio Ingroia e vistato dall’allora procuratore Piero Grasso e dall’allora aggiunto Guido Lo Forte, e trasmesso alle procure di Caltanissetta e Firenze e alla Direzione nazionale antimafia, faceva riferimento anche ad un mandante occulto, su cui erano state avviate indagini, per gli omicidi di Salvo Lima e del giudice Giovanni Falcone. Ma questa storia è stata archiviata e questa di Caltanissetta sembra solo all’inizio.