Politica

Prodi: “Gli errori del Pd? Le leggi elettorali, la riforma della Rai, l’economia coi bonus”. Ad applaudire in platea? Gli ex renziani

Un po’ mea culpa, un po’ stato d’accusa. Il ritorno di Romano Prodi a un’iniziativa del Pd è un grande successo per l’appuntamento di Energia popolare, la corrente di Stefano Bonaccini dentro i dem. Eppure a Cesena l’ex premier – padre fondatore, prima figura nel pantheon del partito e peraltro l’unico che può dire di aver vinto le elezioni (per ben due volte) – mette in fila una serie di riflessioni critiche che vengono applaudite dalla platea, le quali in realtà riguardano proprio tutto ciò che molti dirigenti seduti lì davanti hanno compiuto in questi 12 anni, cioè da quando Prodi non è più capo del governo. Da Fassino a Guerini, da Delrio a Parrini: sono parecchi i volti delle stagioni dei governi democratici del turborenzismo.

Per esempio, dice Prodi, “riconosciamo prima di tutti gli errori compiuti” di “quando, spinto dalle circostanze, il Pd ha inseguito gli obiettivi di breve periodo: le legge elettorale, la riforma della Rai, il finanziamento pubblico ai partiti, alcune riforme istituzionali. Li ritengo cedimenti alla situazione. Bisogna che il Pd ricominci parlare con gli italiani affrontando l’origine e la causa del declino e indicando la strada per la rinascita. Non possiamo continuare a essere un partito rassegnato in un Paese rassegnato”. Tre dei temi citati da Prodi riguardano la stagione della segreteria di Matteo Renzi: l’Italicum e il Rosatellum come sistemi elettorali, la riforma della Rai che ora criticano tutti, sulle riforme istituzionali non è neppure necessario soffermarsi. Il taglio al finanziamento pubblico ai partiti fu operato invece dal governo di Enrico Letta sempre su pressione di Renzi.

Per non parlare del populismo che, nelle parole delle ali “moderate e riformiste” del partito che un tempo sono state maggioranza, è diventato spesso o una maledizione piovuta dal cielo o – peggio – un insulto. “Abbiamo deprecato tante volte la crescita del populismo e l’instabilità a cui il populismo ha dato il contributo – scandisce Prodi – Il populismo è il rifugio del popolo che non trova casa. E la casa non l’ha trovata nemmeno nel Pd. Il Pd ha perso metà dei suoi elettori, 6 milioni di voti. Questo deve obbligarci a riflettere su come costruire la casa che possa ospitare gli italiani. Il Pd non è esente da colpe, ma è l’unico partito in grado di indicare i progetti e i percorsi necessari perché la democrazia torni a essere democrazia operante”. E a chi si riempie tutti i giorni la bocca e i comunicati con la parola “riformismo”. “Democrazia è partecipazione – dice Prodi facendo riferimento alla nota canzone di Giorgio Gaber con testo di Sandro Luporini – Attorno a un idea di rinnovamento si costruisce una necessaria alleanza. Non è il mio compito di approfondire un programma, ma deve essere un programma che affronti la storia in cui ci troviamo in una sinergia tra riformismo e radicalismo. Uso con discrezione la parola radicalismo, ho addirittura assistito con un certo distacco il Sessantotto trovando tutti i miei amici rivoluzionari alla mia destra”.

E ancora, più sul concreto: il salario minimo. “L’idea che 9 euro l’ora siano troppi appartiene a cose che non stanno né in cielo né in terra. Nessuno perde capacità contrattuali” con il salario minimo. E il no ai bonus: “La crescita si fa con investimenti, ricerca e innovazione. Non possiamo avere come obiettivo quello di essere il bed and breakfast del mondo. E la politica economica non si fa con i bonus. A questo si deve accompagnare la difesa dei diritti sociali e il ruolo dello Stato come innovatore”. “Non siamo stati in grado – scandisce – di rappresentare gli sconfitti della globalizzazione”. Un altro riferimento alla perdita di orientamento di questi anni sembra sfiorare l’illusione della terza via: fare la sinistra seguendo rotte di destra. “Con Thatcher e Reagan – è la ricostruzione dell’ex presidente del Consiglio – è cambiato il pensiero economico. Questa rivoluzione intellettuale ha cambiato il quadro, con un pensiero unico e con i partiti di centrosinistra costretti a usare gli slogan del pensiero unico. Dobbiamo recuperare un pensiero originale e ricostruire una visione del mondo. Abbiamo perso la bussola. Il riformismo ha perso la bussola“. E non è indenne da black out neanche l’Unione europea, che spesso viene citata come se bastasse la parola (anzi, come se bastassero le due parole). Per Prodi “abbiamo un’Ue sbandata e lo dico con la massima tristezza. Abbiamo una forte alleanza con gli Stati Uniti, ma abbiamo difficoltà a interpretare questa alleanza con una nostra politica unitaria“. “Ci hanno definiti – ha aggiunto – alleati che non contano nulla e invece c’è una terza via: alleato fedele ma capace di elaborare una politica unitaria per difendere i propri obiettivi e i propri interessi”.

Le parole-chiave per Prodi? “Si possono prendere 10-15 parole di cui parliamo, pace, sanità, immigrazione, si chieda a 15-20 esperti, saggi, di rispondere in rete e poi il Pd va a dire cosa si è concluso”. La conclusione è molto prodiana e non potrebbe essere il contrario: “Il Pd ha ancora la possibilità di essere perno della trasformazione, ma è un obiettivo che può essere raggiunto solo con spirito unitario, troppe volte mancato. Non è facile ricostruirlo ma è la condizione perché il Pd possa presto tornare alla guida della nostra Italia”.