A dieci anni lavorava in una fonderia, frequentava una scuola serale e cantava in oratorio, il maestro Guglielmo Vergine accettò di dargli lezioni per migliorare la voce, ma pretese da lui il 25% dei suoi compensi, con un contratto che durò cinque anni. Caruso esordì il 15 marzo 1895 percependo 80 lire per quattro rappresentazioni. “La vita mi procura molte sofferenze. Quelli che non hanno mai provato niente, non possono cantare”, diceva. Nel dicembre 1900 Caruso cantò alla Scala nel La Bohème, durante la serata inaugurale della stagione lirica, diretta da Arturo Toscanini e, nel 1901 al Teatro San Carlo, con un compenso di 3.000 lire a recita. “Ma chi ti ha mandato, forse Dio?”, esclamò Giacomo Puccini, dopo averlo ascoltato la prima volta. “Se questo napoletano continua a cantare così farà parlare di sé il mondo“, disse di lui Toscanini. E così fu.
Fischiato al Teatro San Carlo, volò in America. Gli si spalancò il suo teatro più bello, il Metropolitan, mentre i giornali titolavano “Un Uomo nuovo a New York”. Star assoluta dal 1903 al ’20, interprete di melodie iconiche della canzone napoletana, il primo cavallo di razza dell’industria discografica a vendere un milione di dischi, entrando nell’Olimpo delle voci più popolari della storia della musica. 2000 performance e 250 registrazioni. “Caruso e Napoli si sono toccati poche volte se si pensa al palcoscenico eppure Caruso esprime tutta la potente incisività di un ‘marchio’ che lega l’Italia all’eccellenza di artisti mai eguagliati e sublimano il concetto del “più grande cantante mai esistito”, spiega Laura Valente, curatrice del primo museo nazionale Caruso, appena inaugurato nel Cortile delle Carrozze di Palazzo Reale.
La monumentale sala Dorica accoglie non una semplice esposizione di cimeli ma una vera e propria installazione delle meraviglie, con animazioni in 3d e piattaforme multimediali, con postazioni musicali e cinematografiche. Fondamentale la sinergia con un donatore speciale Luciano Pituello, che ha dedicato tutta la sua vita a collezionare cimeli e incisioni originali, costumi, dischi, grammofoni d’epoca, spartiti originali con segni autografi dell’artista, gli acquerelli colorati, un unicum nella produzione artistica figurativa di Caruso, cui si aggiungono le celebri caricature dedicate ai grandi della musica, da Toscanini a Verdi.
Il 2 agosto 1921 moriva Enrico Caruso all’Hotel Vesuvio di Napoli da lì vedeva luccicare il mare… Era partito povero per l’America, era ritornato, ricco, famoso e malato. Aveva 48 anni. “Il Museo Enrico Caruso è il modo migliore per celebrare i 150 anni dalla nascita del mio bisnonno e rendere immortale il suo incredibile talento”, conclude commosso Enrico Caruso, il nipotissimo che non canta ma suona il piano. Dulcis in fundo: il ministro Sangiuliano anticipa la prossima mossa “culturale”, l’apertura di un museo dedicato a Totò. E Napoli fa pace con i suoi Miti dimenticati. Non del tutto.