“Il ragionamento che ho fatto a microfoni spenti prendeva a riferimento un mondo ideale. Oggi non sarei disponibile a firmare una legge per la reintroduzione del finanziamento pubblico ai partiti in questo Paese, perché anche la reazione al mio ragionamento dimostra che questa classe dirigente politica non è pronta”. Parole di Stefano Patuanelli, il capogruppo del Movimento Cinque Stelle al Senato, a poche ore dall’uscita di un articolo del Corriere della Sera che riportava un suo ragionamento a favore – detto in estrema sintesi – del finanziamento pubblico dei partiti. Galeotta fu una chiacchierata tra Patuanelli e il giornalista del Corriere Francesco Verderami, mercoledì scorso, nell’anticamera di una trasmissione di Rete4. Ora il capogruppo grillino mille volte precisa che “è una posizione personale” ma forse non basta. Giuseppe Conte ha scritto un post su facebook in cui precisa che “il M5s è e resta contrario” a dare soldi pubblici alle forze politiche. Quando risponde al telefono Patuanelli è a Trieste, dove nel lontano 2005 si era iscritto alla piattaforma dei Meetup per Beppe Grillo per poi approdare a Roma: senatore, capogruppo a Palazzo Madama, ministro dello Sviluppo Economico del Conte II e delle Politiche Agricole con Draghi. Sa che all’orizzonte si profila bufera e che spirerà probabilmente da dentro il suo stesso partito prima che fuori. “Conte ha fatto bene a confermare la linea storica del Movimento”, dice.
Senta, le pareva il caso mentre si discute di salario minimo?
La mia uscita è stata del tutto accidentale, casuale, ma convinta anche se all’apparenza contraddice la nostra linea storica. Vede, il finanziamento pubblico in realtà esiste ancora, anche se non si chiama così. Il 2xmille sono soldi pubblici ma l’anno scorso da quella fonte che è la libera scelta dei cittadini sono arrivati 16 milioni per tutti i partiti dell’arco parlamentare. E’ chiaro che in un sistema dove il finanziamento resta essenzialmente privato si favorisce una politica di censo per cui arriva il Berlusconi di turno che mette nel suo partito 60 milioni l’anno e fa la differenza su tutti gli altri. E’ democratico questo? E poi c’è la contribuzione diretta degli eletti che è parimenti pubblica.
E a chi dice che è salito sul carro della “casta”?
Dico che non è così. Forse proprio le ultime righe di quel pezzo del Corriere accennano al problema di fondo: ne ho fatto esperienza in questi anni.
La spieghi
Ogni eletto finanzia il suo partito. Succede all’atto della candidatura, in cui viene suggellato l’impegno a versare e poi regolarmente, ogni mese una quota. E guardi che lo dico proprio perché la politica senza soldi non si fa, ma fingere che non ci sia un problema su come si finanzia è come mettere la testa sotto la sabbia perché poi i problemi vengono fuori: non ci sono più scuole di partito che formino la classe dirigente, le sedi sul territorio restano chiuse.
E come dovrebbe essere reintrodotto il finanziamento pubblico?
Guardo al modello europeo, dove i partiti sono finanziati ma l’amministrazione del Parlamento europeo mette i controllori che sono terzi e non fanno sconti a nessuno, per cui tutti si regolano. Diversamente da come accade in Italia specie se è tutto un autofinanziamento o un finanziamento privato. Quante vicende ci hanno mostrato le falle di questo sistema, tra lobbisti, politici al soldo di imprenditori interessati, decisori pubblici in odor di conflitto di interesse? Possiamo almeno dire che questo sistema alimenta la prassi o almeno il sospetto che la politica senza soldi pubblici lavori per arraffarne altrove?
E cosa direbbe a un militante storico del M5S?
Il ruolo del Movimento è stato fondamentale per far crescere un sentimento di consapevolezza dei cittadini nei confronti degli sprechi e delle responsabilità della politica. contrasto al finanziamento pubblico ai partiti ma secondo me sbagliando. Ricorda prima campagna elettorale nel 2011 al comune Trieste, abbiamo speso 6.000€ in tutto per fare la campagna elettorale e abbiamo fatto il nove e mezzo per cento, ma non è che quello dimostrava che si può fare una campagna elettorale nazionale con quelle risorse soltanto. Tanto è vero che si è andati verso la verticizzazione dei partiti personali con la gente che si infatua del leader di turno, da Salvini a Renzi per dire, pompato da campagne costose e concentrate sul front man anziché su tutta la filiera del partito, dai militanti della federazione locale alla struttura nazionale, dove non ci sono risorse per costruire una classe dirigente nuova e diffusa sul territorio.
Nessun ripensamento?
Il ragionamento che ho fatto a microfoni spenti prendeva a riferimento un mondo ideale. Oggi non sarei disponibile a firmare una legge per la reintroduzione del finanziamento pubblico ai partiti in questo Paese, perché anche la reazione al mio ragionamento dimostra che questa classe dirigente politica non è pronta. E ritengo comunque che le esigenze del Paese oggi siano ben diverse, mi piacerebbe avere la stessa attenzione che ho avuto in queste ore quando parlo di salariato di minimo.