Secondo l’etimologia della parola politologo è colui che applica le categorie della ragione (il logos) ai fatti della politica (che afferiscono alla polis). Eppure ci sono in giro esimi politologi che affrontano il tema delle guerre in corso (per esempio, quella tra Russia e Ucraina, sostenuta dalla Nato) e delle possibili guerre future (per esempio, quella tra Cina e Taiwan, sostenuta dagli Usa), non dal punto di vista della ragione ma della sua assenza, ossia preoccupandosi: a) di come “vincerle”, anziché trovare una mediazione pacifica, in un contesto di impossibilità di gioco a somma zero (uno vince, l’altro perde) tra potenze nucleari; b) di come convincere i cittadini, saggiamente recalcitranti, ad appoggiare incondizionatamente le scelte belliche dei governi italiani, all’interno di esse.
Non è necessario citare l’enciclica Pacem in terris – alienum est a ratione bellum… (la guerra è aliena alla ragione, cioè è una follia) – che almeno chi insegna in una Università cattolica dovrebbe conoscere, ma dovrebbe essere sufficiente citare la Costituzione della Repubblica italiana che – fondata sul pensiero razionale e sull’etica della responsabilità – “ripudia la guerra” anche come “mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”, perché strumento irrazionale e irresponsabile, soprattutto nell’epoca nucleare. Per cui essa invita a cercare, attivamente, metodi e strumenti per prevenire e/o affrontare e risolvere i conflitti in modo differente da quello militare.
Il fatto poi che coloro che affermano queste follie belliciste anziché essere accompagnati a fare un gioco con le carte da briscola al bar con gli amici siano chiamati, per esempio, a fare una “lezione magistrale” sulla “propaganda” di guerra – che si configurerebbe così come una dimostrazione pratica, fondata su decine di interventi che applicano i principi elementari della propaganda di guerra (vedi Anne Morelli, 2005) – al Festival Filosofia di Modena, Carpi e Sassuolo, come Vittorio Emanuele Parsi; e nell’altro caso, per esempio, a scrivere editoriali sul Corriere della sera, come Angelo Panebianco, la dice lunga sullo stato della cultura politica nel nostro Paese. Per quanto riguarda il primo, ho già scritto e non ho molto da aggiungere se non lo sconcerto dell’aver sentito Parsi, in una recente intervista circolata sui social, esprimere perfino un giudizio di “ossessione” e “delirio” rispetto alla missione di pace di Monsignor Zuppi per conto di papa Francesco a Kiev e a Mosca perché indebolirebbe “il sostegno delle opinioni pubbliche occidentali allo sforzo bellico…”.
Preoccupazione espressa anche da Angelo Panebianco sul Corriere della sera del 17 luglio 2023 (L’Occidente diviso sui regimi) ma proiettata previsionalmente nel futuro. Panebianco dice che la prossima “gravissima crisi internazionale” riguarderà il destino dell’isola di Taiwan e dà per scontato – il politologo – che dalle crisi non se ne esca che con la guerra, per cui il punto nodale del suo “ragionamento” (definizione come atto gratuito di generosità) non è come trovare una soluzione incruenta, ma come svolgere l’”opera di convincimento per impedire che settori rilevanti dell’opinione pubblica si perdano, come nel mito, seguendo il canto di certe sirene”.
Quali sirene? Quelle che – nel nome della ragione e della Costituzione – vorrebbero riportare la pace in Europa e cercare, e trovare, soluzioni non armate ai conflitti, compreso quello tra Cina e Usa per lo status di Taiwan. Ma questa ipotesi – attribuita da Panebianco al “partito filo-putiniano” – non è minimamente contemplata nel suo discorso, tutto volto a dimostrare le simpatie dei “pacifisti” per i “regimi autocratici” e a stigmatizzare la loro capacità di “trovare ascolto” nelle imbelli opinioni pubbliche occidentali e italiana in specie (traviata da decenni di pedagogia costituzionale, esplicitamente pacifista, mi permetto di suggerire).
Che dire di fronte a tali “autorevoli” argomentazioni, fondate su una serie di fallacie logiche e argomentative (vedi Roberta Covelli, Argomentare è diabolico, 2022), se non che siamo passati dal ripudio costituzionale della guerra, non più al solo ripudio della Costituzione (come scrivo da tempo), ma ormai a un vero e proprio ripudio della ragione tout-court e al dispiegamento esplicito della propaganda di guerra? Con il corollario dell’arruolamento d’ufficio al partito dei “filo-putiniani” non solo dei costituenti italiani, ma almeno di due papi pacifisti, Giovanni XXIII e Francesco. Insieme a tutti coloro – da Albert Einstein a Bertrand Russell, da Aldo Capitini a Carlo Rovelli – che, nel nome della ragione, hanno dimostrato e dimostrano l’irrazionalità e l’irresponsabilità della guerra, in particolare nel tempo della minaccia della distruzione atomica, e la necessità di trovare mezzi differenti per affrontare e risolvere i conflitti.
Trattandosi di polito/logi, mi pare ci sia in giro una gravissima assenza di logos.