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Spagna, gli indipendentisti catalani a Sànchez: “Amnistia e referendum per l’ok al governo”. Ma la Procura chiede l’arresto del loro leader

Il giorno dopo il “pareggio” uscito dalle urne, in Spagna le forze politiche iniziano a inviarsi segnali di fumo nel tentativo di avviare il (difficile) percorso per la formazione di un nuovo governo. Alberto Núñez Feijóo, leader del Partito popolare, confida ancora di ottenere l’incarico dal re Felipe VI, forte del primato ottenuto alle elezioni generali. Ma la strada è in salita, perché ai conservatori – che manderanno al Congresso 136 eletti – mancano ben quaranta seggi parlamentari per arrivare alla maggioranza assoluta di 176: non basterebbe nemmeno l’appoggio (nient’affatto scontato) dei 33 deputati dell’ultradestra di Vox, che ha ottenuto un risultato molto al di sotto delle aspettative, perdendo 19 seggi. Leggermente più alte, invece, le chances di un nuovo esecutivo capeggiato dal premier uscente, il socialista Pedro Sànchez: contro i pronostici, il suo partito, il Psoe, ha retto ed è arrivato a poca distanza dai popolari, conquistando 122 seggi. Con l’appoggio dei 31 di Sumar (la forza progressista guidata dalla vicepremier uscente Yolanda Díaz) e dei sette di Erc (gli indipendentisti catalani di sinistra), Sànchez, qualora incaricato dal re, potrebbe arrivare ad avere i numeri per la fiducia se anche i sette eletti di Junts per Catalunya, la coalizione nazionalista catalana guidata da Carles Puigdemont, decidessero di astenersi o di votare sì.

Forte di questo potere contrattuale, la dirigenza di Junts ha già posto condizioni rigidissime: per non ostacolare la nascita dell’esecutivo chiede un’amnistia generale per gli indipndentisti sotto processo o condannati, che non passi da “soluzioni con nomi e cognomi” (cioè parziali), nonché l’autodeterminazione della Catalogna, cioè la celebrazione di un referendum sull’indipendenza riconosciuto da Madrid. “Non saremo intrappolati nella rete del governo della Spagna. Il movimento per l’indipendenza non può sprecare una situazione come questa. Saremo fedeli ai nostri impegni nei confronti della cittadinanza”, ha detto il segretario generale Jordi Turull. A complicare ancora di più il dialogo, poi, ci sono le evoluzioni sul versante giudiziario: proprio il giorno successivo alle elezioni, lunedì 24 luglio, la Procura della Corte suprema ha chiesto al giudice di emettere un mandato di arresto e di detenzione per Puigdemont, eurodeputato ed ex presidente catalano che nel 2017 guidò il tentativo di secessione tramite referendum e da allora è si è rifugiato all’estero (al momento si trova in Belgio) per evitare il processo per ribellione e malversazione di fondi pubblici. La richiesta è arrivata dopo che, il 5 luglio scorso, il Tribunale dell’Unione europea ha confermato il ritiro dell’immunità parlamentare di cui godeva Puigdemont. “Un giorno sei decisivo per formare il governo spagnolo, il giorno dopo la Spagna ordina il tuo arresto”, commenta caustico su Twitter il leader catalano.

Ma nemmeno i popolari, vincitori “formali” della tornata elettorale, sembrano voler rinunciare al tentativo di tornare al potere dopo cinque anni. In due interviste (alle radio Onda cero e Rne) il portavoce del partito Borja Semper ha parlato di vittoria “chiara e indiscutibile”, che “obbliga” Feijóo a “prendere l’iniziativa e ad aprire colloqui con il resto delle forze politiche”, di cui la “prima sarà il Partito socialista” (Psoe): l’ex governatore della Galizia, ha spiegato Semper, “proporrà a Sànchez formule alternative di governabilità”. Tradotto, chiederà un’astensione del Psoe nell’eventuale voto di fiducia, così da far partire un esecutivo di minoranza guidato da lui e appoggiato dai Popolari. Una prospettiva che però è quasi impossibile che Sànchez accetti, per la sua storia politica e i toni usati in campagna elettorale. In quel caso, l’unica strada sarebbe il ritorno immediato alle urne, di cui il Paese ha già fatto esperienza nel 2019 (quando dopo il pareggio di aprile si tornò a votare a novembre). “È senza precedenti che il candidato che ha perso le elezioni aspiri a governare”, ha aggiunto il portavoce popolare, insistendo sul fatto che la “governabilità della Spagna non può dipendere da chi non ha un progetto per il Paese”, in riferimento ai partiti indipendentisti. L’insediamento del nuovo Congresso è previsto per il 17 agosto, dopodiché il re inizierà le consultazioni per l’affidamento dell’incarico di governo.

Nel pomeriggio, fonti del partito conservatore citate dai media spagnoli hanno informato che Feijóo “contatterà prossimamente” anche Vox, “per cominciare a conoscere di prima mano le sue impressioni rispetto alla nuova legislatura”. Ma tra le file del partito sovranista guidato da Santiago Abascal – che attribuisce anche al Pp la colpa del disastro elettorale – la prospettiva non entusiasma: “Tutti sono consapevoli che senza la demonizzazione ai nostri danni, senza la manipolazione del nostro messaggio, oggi non parleremmo di questa situazione. Per tutta la campagna abbiamo dovuto subire un clima ostile contro di noi, creato da media condizionati non solo dalla sinistra ma soprattutto dal Pp”, ha dichiarato il segretario del partito Ignacio Garriga, numero due di Abascal. La seconda critica che Garriga ha rivolto ai popolari è poi quella di essersi appellati al cosiddetto “voto utile” pur di togliere consensi ai sovranisti. “Il voto utile chiesto dal Pp è stato in realtà utile a Sànchez e alla sinistra perché ha bloccato la vera alternativa rappresentata da Vox. Hanno sbagliato avversario”. Da qui l’affondo finale: “Ieri ho visto tutti i popolari festeggiare nella loro sede. Fanno bene a essere felici perchè a fare bene i conti hanno ottenuto quello che volevano, vincere le elezioni e non andare al governo con noi”. Parole che non sono la premessa ideale per un confronto su un eventuale governo di destra, che comunque non avrebbe i numeri per nascere.