Il 25 luglio 1943 è il giorno che segna la caduta del regime fascista con le dimissioni di Benito Mussolini dalla presidenza del Consiglio, carica che deteneva dal 31 ottobre 1922. Annullate tutte le libertà, il fascismo aveva realizzato la sua vocazione totalitaria mirando a plasmare gli individui e ad imporre una dedizione assoluta.
Contestualmente, il fascismo pratica una politica estera aggressiva che raggiunge il suo culmine con l’entrata dell’Italia nella Seconda guerra mondiale il 10 giugno 1940. Nonostante l’intento di porsi come grande potenza militare, l’Italia fascista non è pronta ad affrontare il conflitto e vi entra soltanto nella convinzione che sarà una guerra breve ormai vinta dalla Germania nazista che, proprio in quel mese di giugno, aveva occupato la Francia.
Le previsioni di Mussolini si scontrano dinanzi alla realtà di una contesa militare lunga e gravata da una serie di nette sconfitte: dalla Jugoslavia alla Grecia sino a quelle, ancora più decisive, nel nord Africa il cui ultimo atto è la resa in Tunisia il 12 maggio 1943 che apre lo spazio alle truppe anglostatunitensi per lo sbarco in Sicilia il 9 luglio 1943.
Per quanto, in quel 25 luglio 1943, l’isola non sia ancora completamente occupata, appare fallita l’operazione di difesa con l’annunciato respingimento del nemico sulla linea del bagnasciuga, come aveva dichiarato Mussolini in un comunicato stampa diffuso il 5 luglio.
La caduta di Mussolini durante la seduta del Gran Consiglio del fascismo si sviluppa nel corso di una lunga discussione ad alta tensione drammatica. Ne restituisce l’atmosfera il bel libro dello storico Francesco Pellegrini, L’ultima seduta del Gran Consiglio del fascismo. Affiorano le divisioni interne ai gerarchi che, in larga parte, avevano condiviso un lungo cammino con il capo del fascismo quando non l’intera vicenda, a cominciare dallo squadrismo. È l’itinerario politico – biografico di Giuseppe Bottai, Luigi Federzoni, Dino Grandi (il tessitore della congiura con l’appoggio del re) e dei quadrumviri della marcia su Roma, Emilio De Bono e Cesare Maria De Vecchi. Tutti costoro affossano Mussolini, unitamente a Galeazzo Ciano (marito di Edda, figlia di Mussolini). Degli uomini legati ai primi tempi restano fedeli, pur con rivalità tra loro, Roberto Farinacci, Enzo Galbiati, Gaetano Polverelli. L’ordine del giorno di Dino Grandi che sfiducia Mussolini è approvato con 19 voti, soltanto 7 i contrari e un astenuto.
Alle 3,45 del mattino del 25 luglio Mussolini, riferendo l’esito della votazione all’amante Claretta Petacci afferma: “La stella s’è oscurata”.
La tenebra arriva da lontano: già alla fine del 1942, con la guerra persa, si muovono fronde interne, la grande industria e il papa. All’inizio del 1943 si pensa a un fascismo senza Mussolini e a forme indolori di uscita dal conflitto. A ben guardare è il progetto totalitario del fascismo sugli italiani che entra in crisi con i primi segnali nel 1938, acuiti dal peggioramento delle condizioni economiche. Il fenomeno si coglie con maggiore evidenza nei mesi che precedono la dichiarazione di guerra quando le relazioni riservate indicano la freddezza della popolazione dinanzi all’entrata nel conflitto e la stanchezza di fronte alla propaganda del regime. Nel periodo bellico il Partito nazionale fascista cambia quattro segretari in quattro anni, figure di secondo piano messe di fronte al crescente malcontento della popolazione, non solo sulla gestione militare, ma anche sugli approvvigionamenti alimentari: i razionamenti, la borsa nera, le ruberie, gli arricchimenti illeciti che si scontrano con i bombardamenti, la paura della morte e il peregrinare dei rifugiati.
Quando alle 22,45 la radio diffonde la notizia delle dimissioni di Mussolini, l’intera Penisola esplode in corali, spontanee manifestazioni di tripudio che proseguono anche il giorno successivo. La popolazione vede in quell’atto sia la fine del regime, sia la fine della guerra. Il distacco, reale quanto simbolico, dal fascismo e dal suo capo si ritrova nell’abbattimento delle effigi del regime, dei ritratti di Mussolini e si gettano i distintivi del fascio nelle fogne.
E i fascisti dove sono? In quei giorni sembra non ne esistano più. Le strutture del partito e la milizia restano ferme, non reagiscono, consce della fine di una stagione. E Mussolini? Un uomo divorato da un malato egocentrismo, da un lato consapevole della sua impopolarità ma dall’altro lato irragionevole, al punto da ritenere la sua figura inamovibile, con la conseguenza di arrivare alla riunione del Gran Consiglio impreparato ad affrontare chi lo vuole sfiduciare. Da quella riunione si coglie anche quanto Mussolini e i fascisti irriducibili siano ancorati a una visione irrealistica degli eventi che, con la successiva istituzione della Repubblica sociale italiana, porterà al Paese nuove e ancor più grandi sciagure.