Economia

Le storie dei negozi che rinunciano al contante. “Con il pos meno rischi di furto, transazioni veloci e dimostriamo di voler combattere il nero”

Stando a un rapporto di European House - Ambrosetti il 74% degli intervistati preferisce la moneta elettronica

“Ho fatto un’analisi costi-benefici e facendo affidamento solo sui pagamenti elettronici ci guadagnamo”. Non ha dubbi Vittorio Borgia, proprietario della catena di pasticcerie milanesi Baunilla: la moneta digitale conviene a tutti, tanto che da settembre 2022 i suoi locali sono cashless. Carte di credito e di debito sono gli unici mezzi di pagamento accettati. Le motivazioni sono le stesse per ristoranti, locali, teatri e centri culturali che hanno deciso di mettere al bando le banconote: azzerare i costi del contante, abbattere quelli di gestione, maggiore sicurezza e dare un segnale di supporto al contrasto all’evasione.

Un passo avanti – Mentre il governo (in ritardo) cerca un accordo per abbassare le commissioni Pos, i locali cashless possono sembrare una provocazione. Invece, per dirla con il linguaggio della politica, spesso “l’Italia del fare” è avanti rispetto alla classe dirigente. “Nasciamo per essere un punto di incontro tra cultura e innovazione – racconta la responsabile comunicazione del centro culturale Base Giuseppina De Alessandro a ilfattoquotidiano.it –. Ci è sembrato corretto che anche il momento del pagamento dovesse essere pioniere di cambiamento”. E la direzione del cambiamento l’hanno presa anche i cittadini, stando a un rapporto di European House – Ambrosetti. Dal sondaggio 2023 emerge che per oltre il 74% degli intervistati il metodo di pagamento preferito è proprio la moneta elettronica. “Da Satispay a Paypal, sono tantissime le forme di pagamento digitale che si possono accettare”, ragiona De Alessandro. Anche per questo nel giro di tre anni questa percentuale è aumentata di oltre il 15% e la maggior parte degli italiani utilizza la moneta elettronica almeno una volta a settimana.

Sicurezza e velocità – “Tra fine 2021 e inizio 2022 nei nostri punti vendita abbiamo subito diversi furti con scasso che hanno provocato una perdita di circa 15.000 euro”, racconta il proprietario di Baunilla. Così è scattata la decisione di rendere cashless la catena di pasticcerie. I costi delle commissioni ci sono, ma impallidiscono se paragonati ai rischi del contante: “Per arrivare a pagare in commissioni i soldi che ci hanno rubato con i furti, ne deve passare di acqua sotto i ponti”, ironizza Borgia. E non finisce qui: “Ci sono poi altre attività legate alla gestione del cash che portano via tempo al lavoro vero, come il conteggio e il trasporto fino alle banche”, prosegue. Motivazioni simili hanno portato lo storico teatro milanese Arcimboldi alla decisione di rinunciare al contante, a partire dal prossimo settembre: “Riteniamo che i luoghi di cultura siano i primi a dover dare l’esempio – chiarisce la direttrice Marzia Ginocchio –. Tutto rientra in un progetto più ampio di teatro sostenibile e trasparente”. Come nel caso del Base, anche gli Arcimboldi hanno stretto un accordo con Nexi per iniziare questo percorso di digitalizzazione dei pagamenti. Biglietti e guardaroba saranno i primi servizi a poter essere pagati solo con moneta elettronica, ma entro il 2024 l’obiettivo è fare lo stesso anche per i ristoranti e lo shop della struttura. “Siamo un teatro con oltre 2300 posti, quindi il tema è anche velocizzare i pagamenti”.

Tracciabilità – “Con il cashless ci siamo tolti molti problemi e l’ambiente di lavoro è diventato più sereno”, ricorda il fondatore del locale LuBar Ludovico Bonaccorsi. Uno dei motivi che ha facilitato la scelta del bar milanese sono stati gli ammanchi, cioè il denaro che a fine giornata dovrebbe essere in cassa ma che in realtà manca. Si tratta di soldi che non ci sono o perché si sono verificati errori nel dare il resto ai clienti, o perché sono stati sottratti dai dipendenti. “È capitato che lavoratori per bene siano rimasti male davanti agli ammanchi, perché si sono sentiti accusati ingiustamente”, racconta. Inoltre, sul denaro mancante, ma battuto in cassa, “va anche pagato il 30% di tasse”, spiega il fondatore di LuBar. Tutte situazioni e costi evitabili limitando i pagamenti alle transazioni elettroniche.

Non da ultimo c’è un discorso di legalità e immagine: “Essendo cashless dimostriamo di voler combattere il denaro nero. In un settore come il nostro in cui c’è evasione noi vogliamo trasparenza”, aggiunge. Dello stesso parere è anche il proprietario di Baunilla: “Ho voluto dare un segnale nel mio piccolo: traccio tutto, pago le tasse e sono tranquillo – spiega –. Per questo siamo stati molto attaccati sui social: mi hanno accusato di essere amico delle banche”.

Una simile reazione di stupore da parte dei clienti è stata registrata anche da Bonaccorsi, ma dopo il lockdown da pandemia i cittadini si sono abituati a pagare con carte di credito e debito. La strada per arrivare al livello degli altri paesi europei è però ancora lunga: stando al Cashless Society Index – l’indice che tiene conto del numero di Pos ogni milione di abitanti, delle transazioni effettuate con moneta elettronica e delle imprese con accesso alla banda larga – l’Italia si classifica al terzultimo posto, seguita solo da Romania e Bulgaria. Di converso, però, secondo il sondaggio di Ambrosetti tra gli italiani è cresciuta la consapevolezza della tracciabilità dei pagamenti come strumento per combattere l’evasione. A riguardo la maggior parte degli intervistati, oltre il 55%, ritiene che la politica non stia facendo abbastanza. “Sul cashless non abbiamo nessuna intenzione di tornare indietro – conclude Bonaccorsi –. Penso ormai la direzione sia stata tracciata”.