A me tutti questi giacobini allo spritz, così contenti di strappare la pochette di Alain Elkann (che nella forma fa storcere la bocca, nella sostanza no), fanno sorridere. Lui – vestito di lino, stilografica, Recherche – sappiamo chi sia. Ma, intanto, di snobismo in snobismo: quanti preferirebbero viaggiare in treno con un silenzioso signore più che con un’allegra rappresentanza di popolo urlante? Ho vissuto situazioni da “peggiori bar di Caracas” e mi ci sono divertito parecchio. Però, per cortesia, non ditemi che sia una situazione normale.

Chi non sa nemmeno da che parte stia “la gente” ma fa “il sinistro”, suscita rabìa e dìsgusto, come direbbe l’androide Ester Ascione dei Gialappi. Cioè, non lo prendo sul serio. Il dibattito dovrebbe focalizzarsi su ben altre ingiustizie, su questioni strategiche, non su armocromie come questa. A sinistra la situazione continua a essere tragica, ma non seria.

Elkann sappiamo bene da quale famiglia provenga, quale sia il suo censo. Capisco che strida il suo articolo, nella forma. Ma se il vestito di lino firmato, l’esigenza di silenzio e la letteratura autoriale la invocano altri, non fa scandalo? Se qualche intellettuale della gauche caviar o qualche atticista d’assalto sfodera stilografiche pesanti come il marmo va tutto bene?

C’è chi ha pure tirato in ballo gli articoli di Elkann su La Stampa, dicendo che qualche giornalista si divertiva a lasciare i suoi svarioni. Ho lavorato per molti anni alla Cultura di quel giornale e molte volte “passato” i suoi pezzi, come si dice in gergo, posso rassicurarlo: io e i miei colleghi, per quel che ho visto, l’abbiamo sempre fatto con la massima professionalità (e senza masochismo).

Con questo, so che il giornalismo non è un mestiere per mammolette: di colpi bassi se ne vedono e se ne vedranno a bizzeffe. Quel che mi disturba è che molti sono gli stessi che sprizzano snobismo da tutti pori, tastiere, penne biro e stilografiche; professionisti dell’amicizia e slappers pronti a correre in soccorso del vincitore e della vincitrice di turno, eroiche macchine-da-favori solo per chi è utile, in grado di ricambiare. Gente, magari, che farebbe carte false per scrivere o avere una citazione o una recensione sugli stessi giornali ora del figlio di Alain. Potrebbero prendersela direttamente con lui, o no? O con quelle/i che ci scrivono e collaborano (me compreso), lautamente stipendiati, oppure con i leader o ex leader della cosiddetta sinistra (i nomi sono noti) che hanno svenduto idee e lotta di classe ma continuano a pontificare di politica e di cultura, a frequentare i soliti “morti di fama”.

So benissimo, ripeto, cosa sia il classismo e quali siano le dinamiche sociali in questione. Sono nato (e me ne vanto) IN (non A) Barriera di Milano, nella banlieue torinese, ho vissuto tutto sulla mia pelle e non ho mai nascosto le mie posizioni e le mie idee, chi mi conosce sa con quanto (s)vantaggio per la mia “carriera”, ammesso ne abbia mai avuta una. La gente realmente povera, chi vive in Barriera di Milano o in qualsiasi altra periferia, chi è “fuori dai giri” e non riesce a mettere insieme il pranzo con la cena ha diritto di indignarsi (e intanto di imparare l’educazione), non chi partecipa in mille altri modi al circo dell’ipocrisia, non chi porta le luci d’artista in periferia, per “favorire l’integrazione”.

Non voglio difendere Alain Elkann (non ne ha certo bisogno), ma quando La7 era Telemontecarlo e lui aveva una rubrica dedicata ai libri, ho visto la coda di autori alla Feltrinelli di piazza Argentina, tra Vip e intellettuali impazienti di farsi intervistare. Simpatizzare con il pueblo, certo, ma la rivoluzione non la fa su un “Italo”: Lenin aveva preso un altro treno, quello era blindato. Adesso è diventato classista anche essere favorevole al rispetto tra le persone?

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