I tweet del ministro della Sanità tedesco Karl Lauterbach, secondo cui alcune mete turistiche italiane “non avranno futuro a lungo termine”, hanno fatto discutere e raccolto la risposta piccata della ministra Daniela Santanchè. In realtà toccano un nervo scoperto, ma non solo per la Penisola: quello delle ‘isole di calore urbane (Urban Heat Island)’, fenomeno microclimatico che consiste nel surriscaldamento del centro di un’area urbana, con temperature che aumentano di circa 5° rispetto a quelle periferiche o alle zone rurali circostanti. Non riguarda solo l’Italia, perché in estate nelle città europee quasi 7mila persone muoiono prematuramente a causa del caldo legato alle ‘isole di calore’, secondo uno studio coordinato dal Barcelona Institute for Global Health e pubblicato su The Lancet. Le cause? Poca presenza di verde, eccessivo consumo di suolo legato all’intensa urbanizzazione. Che vuol dire cemento, asfalto, superfici impermeabili e con poca capacità di riflettere il calore, edifici alti che ne ostacolano la dispersione e il passaggio del vento. E ancora, emissioni di auto e, in estate, l’effetto ‘cappa’ dei condizionatori. Eppure, circa un terzo dei decessi, spiega lo studio, potrebbe essere evitato coprendo almeno il 30% della superficie della città con alberi. “È un problema che riguarda diverse città italiane e non solo il loro centro” spiega a ilfattoquotidiano.it Marco Morabito, ricercatore dell’Istituto per la BioEconomia del Cnr e docente del Centro di Bioclimatologia dell’Università di Firenze. Roma, Bologna, Firenze, Milano, Torino “ma ci sono anche altri centri urbani su cui investire maggiori risorse, anche di medie dimensioni come, ad esempio, Padova. Tutti mostrano anomalie termiche”. Senza aspettare i tweet del ministro tedesco, qualcosa si sta già facendo.

Isole (o arcipelaghi) di calore – D’altronde, se metà della popolazione mondiale vive nelle città, in Italia abitano in agglomerati urbani 42 milioni di persone, circa il 70% del totale. L’intensità dell’isola di calore urbana (UHII) viene data dalla differenza tra la più alta temperatura dell’area centrale della città e quella dell’area rurale che la circonda. “Oggi, però, più che di ‘isole’ bisognerebbe parlare di ‘arcipelaghi di calore’, perché aree molto calde si possono trovare non solo in centro, ma anche in quartieri semicentrali o periferici. Accade a Firenze, ad esempio, nell’area del mercato ortofrutticolo” spiega Morabito. Le città presentano anomalie che si distribuiscono in modo molto capillare e sono dipendenti da una serie di fattori. “Quindi l’approccio di considerare l’isola di calore facendo esclusivamente un confronto tra centro città e periferia dà un’indicazione di massima, poco utile per programmare interventi” aggiunge.

Città che vai, ‘arcipelago di calore’ che trovi – Napoli, per esempio, presenta una minore intensità dell’isola di calore nell’area centrale “perché c’è un consumo di suolo molto marcato anche nelle zone semicentrali e periferiche. Quindi la differenza con il centro è minore”. Stessa situazione a Bari, che ha una zona limitrofa molto antropizzata. “Torino, invece, ha una periferia ricca di vegetazione – spiega il ricercatore dell’Istituto di Bioeconomia del Cnr – e questo crea una maggiore differenza termica con il centro. Un recente studio afferma, in modo provocatorio, che le città con le isole di calore più marcate sono quelle con le periferie più verdi. Quindi è molto limitativo affidarsi al solo confronto tra centro e periferia”. A Roma c’è un’altra situazione particolare: “L’isola di calore del centro rispetto alla periferia non è così marcata, ma ci sono anomalie termiche importanti in alcune zone periferiche e semicentrali, anche degradate, per la presenza di terreni incolti o non curati”. Se nel centro è difficile intervenire, in queste zone c’è un alto potenziale. È importante, dunque, avere un quadro chiaro delle caratteristiche peculiari di ogni città e di quali siano ‘gli arcipelaghi di calore’. Il dato satellitare è una fotografia dall’alto che fornisce informazioni preziose, ma non c’è un monitoraggio capillare di ogni angolo della città. Il resto lo fanno, con i loro limiti, modelli e simulazioni che richiedono tempo e capacità importanti di calcolo.

Gli studi in campo – Un contributo importante è stato fornito da Ecostress della Nasa, radiometro installato sulla Stazione spaziale internazionale che, a giugno 2022, ha misurato gli estremi di temperatura della superficie terrestre di alcune città europee, Milano compresa. Ma nel 2020 lo stesso Morabito ha coordinato uno studio del Cnr-Ibe, svolto in collaborazione con Ispra e pubblicato su Science of the Total Environment: è stata analizzata in dieci città metropolitane l’influenza (positiva) della copertura arborea e (negativa) del consumo di suolo. “La priorità va data a città di grandi dimensioni con almeno 400mila abitanti – spiega – e, in modo particolare, a quelle dell’entroterra” che presentano le isole di calore più intense. Un altro progetto, finanziato dall’Agenzia spaziale italiana e coordinato da Cnr-Ibe con il coinvolgimento dell’Ispra si chiama Mirificus: “Permetterà la caratterizzazione dei Comuni, in tutta Italia, analizzando distribuzione e densità di vari elementi che influenzano l’isola di calore urbana superficiale, per valutare l’efficacia di interventi di riforestazione su alcune aree di studio”. Si parte da Roma capitale e Firenze. “Nell’ambito di un altro progetto, portato avanti dal Cnr-Ibe con la Fondazione Capellino – racconta Morabito – stiamo facendo uno studio molto accurato sull’area di Firenze”.

I fattori che influenzano l’isola di calore urbana – Per alcuni dei fattori che influenzano le isole di calore, dalle condizioni meteo alla posizione geografica, si può fare poco. “I centri storici non possono certo trasformarsi in boschi e sono soggetti una serie di vincoli architettonici, storici e culturali. Si può intervenire fino a una certo punto. Penso ai caratteristici tetti” commenta Morabito. E aggiunge: “Il vero problema, però, sono le zone limitrofe in cui si sta continuando a consumare tantissimo suolo”. Estendendo sempre più la superficie caratterizzata da anomalie termiche. Qui, si deve intervenire sui fattori legati alla modifica del territorio da parte dell’uomo. Bisogna andare nella direzione opposta a quanto fatto finora.

Come intervenire – “L’aumento della vegetazione, attraverso alberi maturi, è l’intervento che porta maggiori benefici – spiega Morabito – anche sulla qualità dell’aria. In assenza di alberi, si possono installare strutture ombreggianti e utilizzare tessuti fotovoltaici, come quelli che si stanno sperimentando molto in alcuni Paesi, ma anche tetti o pareti verdi e giardini verticali”. Oggi sono 528 i regolamenti edilizi dei Comuni che fanno riferimento ai tetti verdi. Laddove possibile, poi, bisognerebbe cercare di sostituire le pavimentazioni artificiali (e impermeabili), per esempio nelle aree di parcheggio, o trovare soluzioni miste che favoriscano la presenza di terra e prati. Scelte oculate nella costruzione di edifici possono favorire la ventilazione naturale. Sempre più attenzione c’è verso i cosiddetti ‘Cool materials’, materiali freschi e riflettenti, a basso assorbimento di calore, sia per edifici che per pavimentazioni, specie se coperte da cemento e asfalto che assorbono e stoccano il calore solare rilasciandolo di notte. Negli Stati Uniti, è avanti la ricerca su asfalti meno scuri e che assorbono meno calore. La capacità di dissipare il calore (emittanza) e quella di riflettere la radiazione solare (riflettanza o albedo, legata proprio al colore delle superfici) sono le due caratteristiche che garantiscono un alto Solar Reflectance Index, il valore utilizzato dal Protocollo LEED, che misura la sostenibilità ambientale di un intervento. Utilizzando materiali con queste capacità termiche si possono realizzare i ‘Cool Roof’, tetti freddi con materiali chiari, un basso fattore di assorbimento solare e in grado di riflettere fino all’80% della radiazione solare.

Cosa si sta facendo a Roma e Milano – Nel 2021, l’allora ministero della Transizione ecologica ha lanciato un programma sperimentale d’interventi, con il supporto di Ispra e Anci, per l’adattamento ai cambiamenti climatici in ambito urbano che prevede finanziamenti in decine di aree urbane italiane, con popolazione superiore ai 60mila abitanti. Come racconta Legambiente nel report ‘Il clima è già cambiato’, diversi Comuni hanno utilizzato queste risorse per ridurre il fenomeno delle isole di calore. Per Roma sono cinque gli interventi approvati. Tra questi ‘Forestazione lineare per la riconnessione ecologica’ mirato alla ricostituzione dei corridoi ecologici lungo la via Nomentana, viale Etiopia, viale Tiziano, viale Maresciallo Pilsudski e viale delle Belle Arti. Si prevede la piantumazione di 354 alberi, ma nella Capitale si punta a piantare un milione di alberi, attraverso risorse del Mase e del Pnrr. A Milano le isole di calore sono state monitorate anche nell’ambito del progetto Life metro adapt. Nel 2022 il Consiglio Comunale ha poi approvato il Piano Aria e Clima. Cinque gli ambiti prioritari, compreso ‘Milano più fresca’. Tra gli obiettivi ‘Raffrescamento urbano e riduzione del fenomeno isola di calore’ che prevede anche interventi di forestazione urbana e incremento delle superfici verdi, la diffusione di tetti e pareti verdi (ferma al 3% delle coperture compatibili con la realizzazione di verde pensile, ossia il 44% del totale). Prosegue, poi, il piano di governo del territorio che punta alla creazione di una rete di corridoi ecologici per collegare il tessuto urbano con Parco Nord, Parco Agricolo Sud, Bosco in Città e alla piantumazione dell’equivalente di 3 milioni di alberi entro il 2030 con il progetto ‘Forestami’. Tra gli altri Comuni che hanno sfruttato il bando, Cremona: con ‘Boschi della Villetta’ è stata finanziata la forestazione di due aree situate a sudest della città, mentre ’La strada in Verde’ prevede la rimozione della pavimentazione esistente nelle aree di sosta laterali di un tratto di circa 250 metri di viale Concordia. A Ferrara, Piazza Cortevecchia cambia volto con la messa a dimora di 25 alberi di grandi dimensioni, alla base dei quali ci sarà un tappeto di edera, per creare una nuova superficie a verde di 325 metri quadrati. Il Comune di Lucca ha approvato il progetto ‘Le scuole verdi di Lucca’ e, ad Ancona, lo Stadio Dorico diventerà un contenitore dotato di strutture ombreggianti, essenze arboree, piante e speciali pedane. Sarà un rifugio contro le isole di calore nei periodi estivi.

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