Non potendo entrare nel merito, si attacca il metodo. Perché quest’ultimo ha diffuso il virus della delegittimazione. Fuor di politichese: basta mozioni di sfiducia ai ministri, non servono a nulla e ci fanno perdere consenso e credibilità. Anzi: proteggiamoci tutti, perché oggi è toccato a noi, domani potrebbe toccare a voi. Dalla serie: l’autodifesa della casta. A oltranza. Durante la discussione sulla mozione di sfiducia contro la ministra Daniela Santanchè presentata dalle opposizioni, a Palazzo Madama è andata in scena una precisa azione corporativa dai banchi del centrodestra (e dalle sue “stampelle Iv-Azione”, come definite dal M5s). Il tutto in barba della Costituzione, che assegna al Parlamento non solo la funzione legislativa, ma anche quella di controllo sull’operato del governo e dei ministri. Con quali mezzi? Interrogazioni, interpellanze e mozioni di sfiducia, anche individuali. All’attuale maggioranza di governo, tuttavia, il metodo non piace. E non fa nulla per nasconderlo. Anzi.
Per conferma basta ascoltare gli interventi in aula. Quella del capogruppo della Lega in Senato Massimiliano Romeo, ad esempio, è una dichiarazione di intenti emblematica. Dopo aver sbeffeggiato le opposizioni parlando della loro iniziativa come di un clamoroso autogol (“Ha rafforzato la ministra e anche il governo”, l’esponente del Carroccio si è prodotto in una riflessione (sì, l’ha chiamata esattamente così) sulla natura della mozione di sfiducia e sul doppio danno che crea, ovvero perdita di tempo e cattiva pubblicità. Testuale: “Che cosa ha portato la politica a questo continuo delegittimarsi a vicenda per via delle inchieste giudiziarie? – ha chiesto Romeo – Si dice che la magistratura ha preso troppo potere e noi dobbiamo riequilibrare. Ma chi ha dato tutto questo potere alla magistratura? Siamo stati noi – ha sottolineato – continuando e insistendo con la delegittimazione reciproca, che negli anni ha indebolito tutti a prescindere dalla collocazione politica”. La prova, a detta del capogruppo leghista, è il “grado di considerazione clamorosamente basso che abbiamo tra i cittadini, quando andiamo in giro lo vediamo la gente cosa pensa di noi”. La ricetta dell’esponente leghista è molto semplice nel suo essere per certi versi inquietante: “La giustizia deve fare il suo corso senza condizionare nella sua fase di inchiesta l’operato del governo e dei i ministri, e nessuno di noi deve sindacare l’operato della giustizia né utilizzare strumentalmente le inchieste per opporsi al mandato popolare”. In una parola: il silenzio di tutti per non danneggiare nessuno. Perché fa male alla casta.
La pensa così anche Licia Ronzulli, capogruppo di Forza Italia, che ha parlato della mozione contro Santanchè come di una “strumentalizzazione politica che fa male alla politica”. E ancora: la mozione “riguarda le sue precedenti attività imprenditoriali, con problemi che possono capitare a chiunque abbia svolto un’attività professionale o imprenditoriale“. Il pensiero successivamente diventa ancora più esplicito: “La politica non può essere una marea che si ritira con l’ingresso della giustizia” ha detto l’esponente berlusconiana, che poi si è avventurata in un messaggio per certi versi minaccioso: “Ciò che accade oggi alla senatrice Santanchè potrebbe domani capitare a ciascuno di noi. Siete anche così imprudenti – ha continuato – da non ricordare la storica frase di Pietro Nenni: ‘Gareggiando a fare i puri arriva sempre uno più puro che ti epura’”. Quindi per Ronzulli tutti i parlamentare possono essere indagati, anche coloro che nulla hanno compiuto per attirare le attenzioni della magistratura. Non solo. E vale la pena ripeterlo: con l’attacco frontale al mezzo (la mozione di sfiducia individuale, ndr) la capogruppo dei senatori di Fi si fa beffe del dettato costituzionale, secondo cui il Parlamento deve esercitare la funzione di controllo su quanto fanno il governo e i ministri.
Nell’intervento di Licia Ronzulli non poteva mancare un riferimento all’operato dei media, altro cavallo di battaglia di un centrodestra che prova sincero fastidio nel leggere inchieste giornalistiche scomode per i propri esponenti. “L’opposizione ha voluto a tutti i costi trascinare un processo mediatico in Senato – ha aggiunto – Per qualcuno quest’aula deve diventare quella di un tribunale e nei banchi dell’opposizione troviamo seduti, metaforicamente, dei giudici”. Fatta la premessa, Ronzulli è passata alla predica: “Ma chi siamo noi per giudicare la colpevolezza o l’innocenza di un membro del governo o del Parlamento? Per noi – ha proseguito – solo i giudici hanno il potere di emettere sentenze in nome del popolo italiano. Questo potere non appartiene a noi o a voi e nemmeno alla stampa di parte, troppo sicura di poter condizionare la vita pubblica“. Il tutto dimenticando che la stampa non fa altro che riportare notizie e raccontare l’operato dei potenti. Nel pantheon del post berlusconismo, poi, il nuovo mostro a tre teste è la Rete.
Sempre Ronzulli: “Il potere di emettere sentenze non appartiene neppure a internet, perché noi non giudichiamo l’operato delle persone con gli algoritmi e non scegliamo i ruoli con i trend topic, conferendo – ha concluso – una popolarità negativa e minacciando l’onorabilità di chi impresentabile non è”. Una curiosità: durante il suo intervento, Licia Ronzulli ha ricordato i casi di tre esponenti del governo che in passato si sono dimessi – dice lei – per aver ricevuto un avviso di garanzia: Nunzia De Girolamo, Maurizio Lupi e Federica Guidi. Errore, peraltro abbastanza grossolano: sia Lupi che Guidi si sono fatti da parte per motivi di opportunità politica (il Rolex regalato al figlio del ministro, il coinvolgimento del compagno della ministra in un’inchiesta e i riverberi sull’attività della ministra), non per aver ricevuto informazioni di garanzia. Ma tant’è, tutto fa brodo nella difesa della casta. Che vuole evitare le mozioni di sfiducia nate dalle inchieste della magistratura o giornalistiche per due motivi: perché fanno cattiva pubblicità ai politici (Romeo dixit) e perché “oggi è capitato a noi, domani potrà capitare a voi” (la legge Ronzulli). Eppure per evitare qualsiasi problema si potrebbe fare come suggerito da Luigi Spagnolli, del gruppo delle Autonomie, il cui intervento in Aula è passato fin troppo sotto traccia. Il senatore di minoranza si è rivolto direttamente a Daniela Santanchè: “Parafrasando Manzoni, l’etica se uno non ce l’ha non se la può dare, ma può evitare di diventare ministro“.