Due giorni fa per la prima volta in Italia a una paziente che aveva ottenuto il via libera per il suicidio assistito sono stati forniti, farmaco e strumentazione. Come ha sottolineato Marco Cappato: “È tema in cui non valgono i recinti dei partiti, l’aiuto è arrivato nella regione guidata dal leghista Zaia”. E oggi il governatore del Veneto dice la sua su un tema delicatissimo e su cui da anni la politica tutta evitare di intervenire nonostante i richiami anche della Corte costituzionale. “Nessun atto di eroismo ma una risposta civile ad una cittadina che chiedeva di poter gestire il suo fine vita in modo libero e consapevole. Noi abbiamo semplicemente dato attuazione ad una sentenza della Corte costituzionale quella che nel 2019 si è espressa sul caso del dj Fabo”. Semplicemente in Veneto molto meno in altre regioni dove i malati attendono per mesi le risposte dalle Asl di appartenenza o anche anni come nel caso di “Antonio”.
“La chiamerei gestione del fine vita di un malato terminale” dice Zaia parlando del diritto di ogni malato terminale di poter porre fine alle sofferenze. Come quelle di “Gloria”, 78 anni, che si era rivolta a Marco Cappato nel novembre scorso per chiedergli di aiutarla ad andare a morire in Svizzera. L’ex deputato europeo e l’avvocato Filomena Gallo dell’associazione Luca Coscioni le avevano però spiegato che poteva farlo anche a casa sua. Il suo ultimo appello a lasciarla andare via è del 12 luglio scorso, mentre i medici dell’Asl di Treviso verificavano che vi fossero tutte le condizioni previste dalla sentenza della Consulta, a partire dall’autodeterminazione e dalla capacità di autosomministrarsi il farmaco. Domenica scorsa è arrivato il via libera. Il dottor Mario Riccio, il medico che aiutò Welby, era con Gloria.
“Questa è una materia che appartiene ad una sorta di “no fly zone” — spiega Zaia — non è un terreno per dispute politiche o ideologiche. Io rispetto le idee di tutti, sia di chi ritiene che questa sia una via giusta sia di chi preferisce le cure palliative. Ma su tutto viene il malato. Noi dobbiamo avere la massima attenzione nei suoi confronti e rispettare fino in fondo le sue volontà. Un Paese civile si deve dotare di una legge ma in assenza di questa non possiamo pensare di abbandonare i pazienti a loro stessi. Anzi, dico che sarebbe gravissimo se ci fosse chi si tiene le pratiche nel cassetto per non assumersi la responsabilità di decidere. Ecco perché dico che tocca alla politica muoversi per garantire ai cittadini tutte le libertà a cui hanno diritto”. Nella sua regione c’è già un altro caso di un malato che ha avuto accesso alla possibilità di ricorrere alla fine vita assistita. È Stefano Gheller, 49 anni, affetto da distrofia muscolare. Ma le situazioni simili in giro per l’Italia sono diverse. E qui si pone anche un problema di parità di condizioni tra cittadini. Per cui c’è chi ha nel frattempo scelto la sedazione profonda come nei casi segnalati dall’associazione Coscioni di Fabio Ridolfi e “Giampaolo” costretti a rinunciare al lungo e faticoso percorso scegliendo loro malgrado il ricorso alla sospensione delle terapie e una lenta morte sotto sedazione profonda con distacco dell’alimentazione e dell’idratazione. “Non conosco la situazione nelle altre Regioni ma mi auguro che non si cerchi di guadagnar tempo perché gli ammalati non ne hanno. Il tema del fine vita – dice Zaia – è drammatico e lo diventerà sempre di più. Io non ho fatto nulla di strano. Ho applicato una sentenza e moralmente ed eticamente mi sento a posto. Ma ribadisco che non si può andare avanti senza una legge. Non è da Paese civile”.