Da anni il sistema produttivo chiede più lavoratori stranieri, ma la legge Bossi-Fini da un lato e i numeri esigui dei decreti flussi dall’altro hanno impedito una risposta adeguata. In pochi avrebbero scommesso che ad aumentare il numero di stranieri in Italia sarebbe stato proprio un governo di centrodestra, per di più con Matteo Salvini ministro e Giorgia Meloni premier. Ovviamente non parliamo del numero di sbarchi irregolari, che toglie il sonno al governo perché in costante aumento rispetto agli scorsi anni. Si tratta invece degli extracomunitari che entreranno con un visto per lavoro, grazie all’aumento delle quote deciso dall’esecutivo che apre le porte a quasi 500 mila stranieri nel triennio 2023-2025. Ma anche grazie ad altre novità introdotte dalla stessa maggioranza che, strano a dirsi, ha stupito positivamente l’opposizione. Indipendentemente dai decreti flussi, l’ultima concede il visto di ingresso agli stranieri che hanno lavorato alle dipendenze di imprese italiane operanti in Paesi extracomunitari per almeno 12 mesi negli ultimi 4 anni.

L’emendamento al decreto legge Pubblica amministrazione 2, approvato all’unanimità dalle Commissioni Affari costituzionali e Lavoro alla Camera, ha come primo firmatario il capogruppo di FdI, Tommaso Foti. Si tratta di una modifica al Testo unico sull’immigrazione, la legge 286 del 1998 che all’articolo 27 disciplina gli “ingressi per lavoro in casi particolari”. La successiva legge Bossi-Fini del 2002 limitò la casistica a figure professionali altamente specializzate: docenti universitari, ballerini, sportivi, medici e infermieri professionali, tra gli altri. Con l’emendamento di Foti il governo allarga decisamente le maglie della Bossi-Fini, concedendo il visto di ingresso ai “lavoratori che siano stati dipendenti, per almeno dodici mesi nell’arco dei quarantotto mesi antecedenti alla richiesta, di imprese aventi sede in Italia, ovvero di società da queste partecipate, così come rivenienti dall’ultimo bilancio consolidato ai sensi degli articoli 25 e seguenti del decreto legislativo 9 aprile 1991, n. 127, operanti nei Paesi extracomunitari, ai fini del loro impiego nelle sedi delle suddette imprese o società presenti nel territorio italiano”.

La sorpresa per l’emendamento da parte del centrosinistra è stata espressa da Matteo Mauri (Pd), già sottosegretario agli Interni ed esperto di immigrazione: “Pensavo che l’emendamento fosse stato presentato da un collega di centrosinistra – ha affermato – perché avevamo sollevato noi il tema della necessità di allargare le possibilità di ingresso legale in Italia. Vedo con piacere che il governo fa la faccia feroce, descrivendo l’immigrazione come una sostituzione etnica, poi agisce in modo incoerente anche se in modo giusto, e per noi va bene così”. Mauri ha chiesto di allargare ulteriormente le maglie di ingresso legale in Italia, richiesta fatta anche da M5s e da Iv con Maria Elena Boschi. A ribattere è il capogruppo di Fdi in Commissione Affari costituzionali, Alessandro Urzì, che ha sottolineato “l’approccio pragmatico del governo sul tema migranti”. “Cogliamo lo spirito positivo del sì delle opposizioni al nostro emendamento, che così facendo dicono sì alla linea del governo”. Espressione che non è andata giù a Mauri: “Se Urzì vuole che votiamo “no” lo dica: non sposiamo la linea del governo, rileviamo che il governo è sulla nostra”. Alla fine l’emendamento è stato posto in votazione ed è passato all’unanimità.

A parte la finestra temporale del decreto flussi, l’emendamento rappresenta il primo e più concreto segnale del governo nei confronti del sistema produttivo che per il triennio chiedeva addirittura 833 mila visti per lavoro. La modifica segue di pochi mesi la novità sui corsi di formazione attivabili all’estero da organizzazioni di categoria, sindacati, ong ed enti di vario genere per allargare i numeri dei decreti flussi con visti extra quote. Ma come Cgil, Cisl e Uil anche Confindustria si è detta scettica su uno strumento non immediato a fronte di necessità impellenti e di un milione di lavoratori irreperibili (dati del ministero del Lavoro) sia per l’invecchiamento della popolazione e il calo demografico che riducono dell’1% ogni anno le persone in età da lavoro, sia per le professionalità mancanti. Servono operai specializzati come fresatori, saldatori, tornitori, elettricisti, oltre a muratori, falegnami e carpentieri che secondo Confartigianato si trovano a fatica e in tempi sempre più lunghi. E poi lavoratori per la ristorazione, stagionali e non, fino ai paramedici e alle figure come matematici, fisici e ingegneri che puntano ad altri Paesi. Nel Nord Italia, alcuni esponenti di Confindustria hanno addirittura chiesto di superare definitivamente il farraginoso e lento sistema delle quote, consentendo sempre l’ingresso legale per motivi di lavoro, con tempi rapidi e senza la “lotteria del click day“. E così per la formazione, che secondo gli industriali andrebbe fatta in Italia, anche sul campo. Per essere un governo di centrodestra, non si può certo dire che quello di Meloni abbia preclusioni nell’assecondare le imprese sul tema. Ma molto dipenderà anche dalla capacità di ridurre il numero degli ingressi irregolari, ormai quasi 90 mila dall’inizio dell’anno, che passa dal discusso memorandum appena sottoscritto da Tunisia e Unione europea per frenare le partenze.

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