La Corte costituzionale ha accolto il conflitto di attribuzione sollevato dal Senato nei confronti della Procura di Firenze, nella parte in cui era diretto a contestare la legittimità dell’acquisizione di corrispondenza del senatore Matteo Renzi in violazione dell’articolo 68, terzo comma, della Costituzione. In virtù di questa norma, “senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto (…) a intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza”. Con sentenza numero 170 del 2023, redatta dal giudice Franco Modugno, la Consulta ha dichiarato che la Procura non poteva acquisire, senza preventiva autorizzazione del Senato, messaggi di posta elettronica e Whatsapp del parlamentare, o a lui diretti, conservati in dispositivi elettronici appartenenti a terzi. E pertanto ha annullato il sequestro di quelle conversazioni disposto sullo smartphone dell’imprenditore Vincenzo Ugo Manes, mentre l’altro provvedimento contestato da Renzi, il sequestro dello smartphone del suo amico Marco Carrai, era già stato annullato dalla Cassazione (seppur con motivazioni rifferenti).

LA DECISIONE DELLA CONSULTA – Tali messaggi sono stati ritenuti riconducibili alla nozione di “corrispondenza”, costituzionalmente rilevante e la cui tutela non si esaurisce, come invece sostenuto dalla Procura, con la ricezione del messaggio da parte del destinatario, ma perdura fin tanto che esso conservi carattere di attualità e interesse per gli interlocutori. Gli organi investigativi – ha precisato la Corte – sono abilitati a disporre il sequestro di “contenitori” di dati informatici appartenenti a terzi, quali smartphone, computer o tablet: ma quando riscontrino la presenza in essi di messaggi intercorsi con un parlamentare, debbono sospendere l’estrazione di tali messaggi dalla memoria del dispositivo e chiedere l’autorizzazione della Camera di appartenenza per poterli coinvolgere nel sequestro. Ciò a prescindere da ogni valutazione circa il carattere “occasionale” o “mirato” dell’acquisizione dei messaggi stessi. La Corte non ha invece accolto il ricorso nella parte in cui veniva contestata l’acquisizione da parte della Procura, senza autorizzazione, dell’estratto del conto corrente personale del Senatore Renzi, in quanto non era stato spedito dalla banca al parlamentare, ma allegato a segnalazioni di operazioni bancarie provenienti da uffici della Banca d’Italia.

IL CASO OPENIl 22 febbraio del 2022 il Senato aveva votato a favore del conflitto. A inizio febbraio i pm toscani avevano chiesto di processare l’ex presidente del consiglio e altri dieci indagati (compresi i deputati Maria Elena Boschi, e Luca Lotti, l’ex presidente di Open Alberto Bianchi, l’imprenditore Marco Carrai) per alcuni reati contestati a vario titolo: si va dal finanziamento illecito ai partiti alla corruzione, dal riciclaggio al traffico d’influenze. All’interno dell’indagine sono confluiti migliaia di documenti ottenuti dalla procura tramite una serie di perquisizioni e sequestri a carico di alcuni indagati. Tra questi ultimi – è il caso di sottolinearlo – non c’è Renzi, che non ha subito alcuna perquisizione personale. In caso contrario, essendo il leader di Italia Viva un parlamentare, i pm avrebbero dovuto chiedere l’autorizzazione preventiva alla Camera di appartenenza. Ma la Procura di Firenze non aveva alcuna intenzione di perquisire Renzi. Il nome dell’ex premier, però, è saltato fuori in una serie di messaggi Whatsapp conservati nella memoria di cellulari sequestrati a terze persone. È bastato questo per scatenare il leader di Italia Viva si era rivolto all’allora presidente di Palazzo Madama Elisabetta Casellati sostenendo che i pm avrebbero dovuto chiedere l’autorizzazione parlamentare per sequestrare i dispositivi elettronici di altre persone (non coperte dall’immunità parlamentare) che avevano avuto avuto scambi con lui: una tesi accolta prima dalla Giunta per le immunità e successivamente dall’Aula. Ed è così che si è arrivati alla Consulta. Durante l’indagine era stato sequestrato il cellulare dell’imprenditore Vincenzo Manes ed è lì che c’erano i i messaggi scambiati su Whatsapp in cui si parlava del volo Roma-Washington da 135mila euro pagato dalla fondazione Open.

LE SENTENZE DELLA CASSAZIONEIl principio che le chat Whatsapp equivalgano a corrispondenza è stato smentito più volte negli ultimi anni dalla Cassazione: in una serie di sentenze i giudici hanno spiegato che i messaggi Whatsapp rinvenuti in un telefono cellulare non rientrano nel concetto di “corrispondenza“. L’ultima volta lo hanno fatto con la sentenza numero 1822 del 17 gennaio 2020. La vicenda riguardava un piccolo spacciatore di stupefacenti, condannato sulla base di una serie di elementi: tra questi anche i messaggi sul cellulare, scambiati con potenziali acquirenti. La difesa aveva fatto ricorso, appellandosi alla violazione del diritto alla segretezza della corrispondenza. La sesta sezione penale della Cassazione aveva rigettato quell’eccezione, come già aveva fatto la corte d’Appello, spiegando di aver fatto “ineccepibile applicazione della consolidata giurisprudenza di questa Corte regolatrice secondo cui i dati informatici acquisiti dalla memoria del telefono in uso all’indagato (sms, messaggi whatsApp, messaggi di posta elettronica “scaricati” e/o conservati nella memoria dell’apparecchio cellulare) hanno natura di documenti ai sensi dell’articolo 234 del codice di procedura penale, di tal che la relativa attività acquisitiva non soggiace né alle regole stabilite per la corrispondenza, né tantomeno alla disciplina delle intercettazioni telefoniche“. La stessa giurisprudenza era stata applicata dal gip di Genova nell’ordinanza con cui, il 31 maggio 2022, ha archiviato la denuncia per abuso d’ufficio sporta da Renzi contro i pm di Firenze che lo accusano: “i messaggi memorizzati costituiscono meri documenti informatici, intesi in senso statico, dunque acquisibili ai sensi dell’articolo 234″ del codice di procedura penale sulle prove documentali”, scriveva. “Trattandosi di documenti, per la loro acquisizione non era quindi necessaria la preventiva autorizzazione del Senato, richiesta soltanto per il sequestro di corrispondenza, oppure per sottoporre il membro del Parlamento a intercettazioni”.

RENZI: “INDAGINE ASSURDA, TRIONFO DEL DIRITTO” – Ora però l’ex premier ha buon gioco a dipingersi come vittima di un complotto di magistrati eversivi. “Avevo fortemente voluto che la vicenda finisse in Corte, non per il processo ma per un punto di principio e di diritto. Io sostenevo che il comportamento dei pm di Firenze violasse la legge (e la Cassazione ci ha dato ragione cinque volte) e che violasse anche la nostra Costituzione (in realtà le decisioni della Cassazione che cita Renzi non riguardavano le sue chat, ma la legittimità dei sequestri a Marco Carrai, ndr). La Corte costituzionale ha accolto il ricorso, dandoci ragione e annullato alcuni provvedimenti dei pm di Firenze. Verrà il giorno in cui la classe dirigente del Paese rifletterà serenamente su questa indagine assurda, nata contro di me, contro le persone che mi stanno vicine e soprattutto contro i fatti. Verrà quel giorno ma non è questo. Oggi è solo il giorno del trionfo del diritto“. Poi ringrazia “i senatori che hanno votato in Aula per sollevare il conflitto sfidando l’opinione pubblica in nome del diritto”.

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