Attualità

Emanuela Orlandi, il fratello Pietro: “Commissione parlamentare fa paura a Procura vaticana e a quella di Roma”. E ricorda Andrea Purgatori

“Io e Andrea Purgatori ci sentivamo spesso sulla vicenda di Emanuela, lui voleva arrivare alla verità sulla scomparsa di mia sorella. Avrebbe fatto sicuramente parte della commissione parlamentare d’inchiesta come consulente esterno. Andrea era una persona molto preparata“. È il ricordo che il fratello di Emanuela Orlandi, Pietro, fa del compianto giornalista Andrea Purgatori ai microfoni della trasmissione La gazzetta ladra, su Radio Cusano Campus.

E aggiunge: “L’ultima volta che l’ho incontrato è stato il 6 giugno, quando fu ci fu l’audizione in Senato e alcuni senatori scettici vollero ascoltare alcune persone per valutare il caso. Andrea Purgatori fece un intervento straordinario, mettendo a tacere tutti quelli che avevano dubbi sulla commissione, tra cui due senatori e il promotore di Giustizia del Vaticano, Alessandro Diddi, che in quell’occasione fece capire chiaramente che il Vaticano non gradiva la commissione. E Andrea, da persona culturalmente preparata sull’argomento, fece capire l’importanza e la necessità della commissione”.

Pietro Orlandi poi pronuncia un lungo j’accuse indirizzato alla Procura vaticana, in particolare ad Alessandro Diddi, ex legale del re delle cooperative romane Salvatore Buzzi (cui riuscì a non far addebitare l’aggravante mafiosa nel processo Mafia Capitale) e attualmente promotore di Giustizia della Santa Sede. La ragione principale sta nel fatto che attualmente l’inchiesta sul caso di Emanuela Orlandi sembra incentrata sulla pista “familiare”, dopo che il TgLa7 ha reso pubblica una storia archiviata da tempo sullo zio della ragazza, Mario Meneguzzi, deceduto qualche anno fa e la cui posizione fu già vagliata dagli investigatori in passato. Nel notiziario diretto da Enrico Mentana si è parlato del carteggio consegnato proprio da Alessandro Diddi alla Procura di Roma, documenti in cui si riportano le avances subite da Natalina Orlandi, sorella maggiore di Emanuela, da parte dello zio.

Il fratello di Emanuela commenta: “La macchina del fango non si è messa in moto casualmente. A me ha fatto davvero tanto male guardare quella sera il Tg di Mentana, ero arrabbiatissimo, perché ho percepito veramente che nel dare quella notizia c’era la volontà di qualcuno, presumibilmente interno al Vaticano, di allontanare il più possibile qualunque tipo di responsabilità. E così hanno trovato il modo peggiore: scaricare le colpe sulla nostra famiglia – spiega – peraltro con una ipotesi che, come ho detto tantissime volte, non è neppure una ipotesi, perché non c’entra niente con la vicenda di Emanuela. E il fatto stesso che loro l’abbiano voluta tirare fuori dimostra che stanno trovando qualunque modo per scaricare sulla famiglia la responsabilità di quello che è successo”.

E aggiunge: “La motivazione è semplicemente una: se riescono a scaricare la responsabilità della scomparsa di Emanuela sulla famiglia, non ha motivo di esistere la commissione parlamentare d’inchiesta. Loro sperano che non parta, perchè a cosa servirebbe la commissione se ci fosse una questione interna familiare? Solo questo è il motivo per cui hanno tirato fuori questa storia. La cosa più imbarazzante è che sia la Procura vaticana, sia la Procura di Roma stanno lavorando su questa ipotesi, nonostante tutto quello che ho consegnato a Diddi e tutto quello che gli ho detto a voce, dopo che fui convocato per 8 ore in Vaticano lo scorso 11 aprile. E lo stesso memoriale è stato consegnato alla Procura di Roma – puntualizza – sono cose assolutamente importanti, eppure loro stanno lavorando ancora su questa ipotesi di mio zio, servendosi peraltro dell’aiuto di giornalisti come Pino Nicotri, che ha scritto libri su Emanuela e che delle insinuazioni sulla mia famiglia ha fatto il suo cavallo di battaglia da 20 anni. Che Diddi ascolti Nicotri e che dai libri di quest’ultimo parta l’ipotesi su mio zio è davvero imbarazzante. Non so neppure come reagire, non so se arrabbiarmi ancora. Sembra una barzelletta quello che stanno facendo, non mi sembrano persone all’altezza per occuparsi della scomparsa di Emanuela”.

Orlandi sottolinea: “Io sono il primo che, se avessi anche un solo dubbio su un mio familiare, tirerei dritto. Quindi, accetto qualunque cosa, anche il fatto che venga indagata la mia famiglia. Ma se la Procura di Roma e la Procura vaticana avessero voluto fare le cose seriamente, come primo passo avrebbero convocato perlomeno i protagonisti e i familiari di mio zio. Niente. Non hanno ascoltato nessuno e hanno lanciato la notizia così in un tg – prosegue- La Procura di Roma ha agli atti tutta la documentazione sulla vicenda di Emanuela. Sarebbe assurdo se non l’avessero nemmeno guardata, sparando questa notizia come grande novità con documenti emersi chissà da dove, quando in realtà è una storia vecchia. La sensazione è che stiano cercando qualcosa che consenta di trovare una soluzione di comodo”.

E riporta un altro episodio in cui menziona Giulio Gangi, l’agente del Sisde che fu il primo a occuparsi della scomparsa di Emanuela e che è deceduto lo scorso novembre all’età di 63 anni. Gangi è lo 007 a cui si rivolse lo zio di Emanuela, Mario Meneguzzi, quando si accorse di essere pedinato durante le prime battute dell’inchiesta nell’83. “Quando fui convocato in Vaticano per 8 ore da Diddi lo scorso 11 aprile – rivela Pietro Orlandi – a un certo punto fu menzionato Giulio Gangi. E uno dei presenti disse: ‘Ah, Gangi lo abbiamo già ascoltato’. Io risposi: ‘Ma Gangi è morto nel novembre del 2022. Quindi, voi avete interrogato Gangi ancora prima dell’inchiesta?’. Fu un momento di grande imbarazzo e mi fu risposto che stavano lavorando già da prima. Adesso ho capito su cosa stavano lavorando: sulla pista relativa a mio zio”.

Poi aggiunge: “Eppure, tante volte avevo chiesto di verbalizzare i messaggi WhatsApp risalenti al 2014, di persone vicine a Papa Francesco che parlano di documenti e situazioni di Emanuela. I nomi di quelle persone sono note anche alla Procura di Roma: quelle persone non sono mai state ascoltate da Diddi. Sono nomi e fatti così importanti che, se davvero avessi voluto scoprire la verità, avresti dovuto convocare quelle persone immediatamente. Secondo me, non le hanno chiamate perché stanno puntando solo su una strada”.

Orlandi conclude: “Io in questo momento preciso non mi fido né della Procura vaticana, né della Procura di Roma. Per questo motivo, spero che parta finalmente questa benedetta commissione parlamentare d’inchiesta. Loro non vogliono questa commissione, composta da 20 deputati e da 20 senatori, perché non possono controllare 40 persone. Questo è l’unico motivo. La mia vera paura è che chi non vuole la commissione farà di tutto perché non si avvii la commissione. Ecco perché prima parte, meglio è”.