“La politica non ci ha ascoltato ma oggi in Italia sta accadendo quello che noi denunciavamo da anni”. Lo dicono le attiviste e gli attivisti ambientali che hanno raggiunto Torino per partecipare alla seconda edizione del Climate Social Camp. Una tre giorni di incontri, dibattiti e azioni dirette che si è svolta nel parco Artiglieri di Montagna. La scelta del luogo non è casuale: “Proprio qui sarà costruito un nuovo supermercato” raccontano gli organizzatori del camp che puntano il dito contro “l’ennesimo progetto che cementifica la città”. E così hanno deciso di occupare temporaneamente questo spazio con una distesa di tende che da mercoledì 26 a venerdì 28 luglio hanno ospitato centinaia di attivisti e movimenti da tutta Italia. Ci sono i No Tav della Valsusa, i Fridays For Future, Extinction Rebellion, i veneti del Venice Climate Camp e i siciliani del No Ponte.
Ludovica è una di loro. Arriva dalla Sicilia martoriata dagli incendi. “Mentre il nostro territorio brucia – spiega – ci sono politici come il ministro Salvini che in maniera scellerata vogliono sperperare soldi per costruire una grande opera inutile come il ponte sullo stretto”. Un progetto che costerà “14 miliardi di euro ma non servirà a nessuno” avverte l’attivista siciliana del Comitato No Ponte che invita gli attivisti a unirsi al corteo che si terrà a Messina il 12 agosto. “Non gli importa nulla se le nostre scuole o le nostre strade cadono a pezzi, ma l’unica cosa che sembra importagli è la cementificazione e la devastazione dei nostri territori”.
C’è un filo rosso che lega gli incendi e il caldo record siciliano agli uragani lombardi e all’alluvione romagnola. Ed è rappresentato dal cambiamento climatico. Lo sanno bene gli attivisti della rete Bologna For Climate Justice che in primavera hanno spalato il fango nelle strade e nelle case romagnole. “La materialità della crisi climatica ci ha toccato in prima persona – racconta Anna che negli scorsi mesi, come tanti suoi compagni ha indossato gli stivali per dare una mano alle popolazioni colpite – abbiamo capito fin da subito non bastava mobilitarsi ma bisognava indicare le responsabilità di questa situazione”. E così nelle settimane successive hanno portato quello stesso fango che avevano spalato di fronte alla regione Emilia-Romagna ritenuta “colpevole di aver promosso un modello di sviluppo sbagliato fondato sul consumo di territorio”.
E poi ci sono le montagne che nel corso del 2022 hanno perso oltre il 60 per cento delle precipitazioni nevose. “Eppure c’è chi si ostina a voler innevare artificialmente le nostre cime sprecando acqua” racconta Matilde del comitato lombardo “Salviamo il Monte San Prino”. Negli anni Sessanta, questa località del triangolo lariano era una stazione sciistica, ma nel 2013 gli impianti sono falliti a causa della mancanza di neve. “E adesso c’è chi vorrebbe farli rinascere con un progetto di tapis roulant e bacini idrici che dovranno alimentare gli impianti di innevamento artificiale tra i 1100 e i 1400 metri d’altezza” racconta Matilde. “Questi grandi progetti vengono realizzati senza la lungimiranza e la consapevolezza del periodo di crisi climatica che stiamo vivendo”. Un altro esempio? “Le Olimpiadi invernali che si svolgeranno a Milano e Cortina nel 2026”. Un grande evento che ha già attirato le critiche di diverse associazioni ambientaliste per quanto riguarda la sostenibilità delle strutture. Un tema sul quale nei prossimi mesi la rete veneta del Venice Climate Camp promette battaglia. A partire dal campeggio che si svolgerà al lido di Venezia dall’8 al 10 settembre e che avrà come tema centrale proprio quello delle Olimpiadi. “Viviamo in un territorio come Venezia che deve affrontare la minaccia dell’innalzamento delle acque causate dal cambiamento climatico – spiega Anna, attivista veneta – e come soluzione alla devastazione dei territori ci propongono delle grandi opere”.
Il campeggio di Torino non è stato solo un momento di confronto sui temi. Ma anche sulle pratiche di disobbedienza civile che in questi mesi i movimenti ambientalisti hanno sperimentato nei loro territori. E giovedì pomeriggio sono passati all’azione. In centinaia sono partiti dal camp in bici e a piedi bloccando una delle arterie principali di Torino e colpendo con la vernice “i luoghi simbolo della cementificazione e della speculazione edilizia”. Tra questi il grattacielo della Regione Piemonte ritenuto un “palazzo della devastazione” e la sede della Smat che gestisce le acque cittadine. “Torino è tra le città più inquinate d’Europa contando circa 1000 morti l’anno per patologie respiratorie provocate dalle polveri sottili – spiegano gli organizzatori – e conta il maggior consumo di suolo da cemento in Italia, arrivando al 65%”. Il campeggio di Torino “non è solo che l’inizio” promettono gli attivisti preannunciando che “il prossimo autunno saranno organizzate molte azioni”.