Cultura

Gennadij Ajgi, tra avanguardia e folclore ciuvascio (Traduzione di Paolo Galvagni)

Ciuvascio di una remota provincia sul Volga, esteta, educato sui versi dei futuristi e di Boris Pasternak e per questo espulso dall’Istituto letterario, francofilo per passione culturale, Gennadij Ajgi ha operato nello spazio della poesia russa come se prima di lui non ci fosse la storia, nessuna tradizione propria. La poesia russa di Ajgi è nata come in un luogo vuoto, nella giunzione del folclore ciuvascio precristiano con la raffinata estetica dell’avanguardia parigina dei tempi di Mallarmé e Apollinaire. Unendo elementi inconciliabili – il verso libero e le formule magiche del Volga. Gennadij Ajgi, che innesta meravigliosamente sul verso russo la tecnica versificatoria dell’avanguardia poetica francese e al contempo gli elementi della percezione pagana, magica, della natura e dell’uomo, da lui attinte nella memoria popolare dei ciuvasci – piccola nazione del Volga, a cui egli appartiene per nascita.

P. G.

Sogno-fuoco
(Mattine a Irkutsk)

a M.M.L.

Del sonno l’inizio
dal fruscio
delle scope in cortile verso mattina –

come se
sulle pareti
il movimento della fiamma
sopra la testa –

così inflessibile, severo, ruvido!

Gioventù-randagità!…

Sonno – come dei pensieri lo scricchiolio
In una casa affabile: nel fuoco.

(1958)

***

Epitaffio
per la coccinella
(dalle Favole sulle cartoline)

Il nonno della defunta
era un Giaguaro.
Fu stregato
e tramutato in Tartaruga.
Alla Tartaruga
nacque una nipotina, –
minuscola,
con le alette,
simile al nonno per la tinta.

Dispiace molto che sia
morta così presto.

(1958)

Le rose
in Piazza San Venceslao

in memoria di Jan Palach

siete innumerevoli voi rose-stendardi
col-biancore-del-Dagestan:

sempre in schiera oh in schiera per tutto il paese!

voi rose-teste: siete aperte dal luccichio!
e sanguinate: “sono la Rosa-Praga! …”

“sono la Rosa-Sonno: sono sul tuo petto”

(25 gennaio 1969)

La patria-limbo

a N.B

1

Dove sono schiere di vittime innocenti (da tempo ormai spettri), dove tu stesso sei una vittima (soltanto per-ora-vivo), – lì è la patria (solo quella è la patria): l’amore e la compassione-per-le-vittime e tu-stesso-vittima-tra-esse. Solo questa: è la patria. E solo per una simile – c’è attaccamento. E una simile – non si abbandona.

2

Tu puoi rinunciare allo spazio. Alle ombre-spettri. E ai vivi. E scopri l’ultima, dove troverai nuovamente tutto ciò che avevi cancellato, – quella patria è la lingua.
Essere sepolto – in quella patria, con la speranza: stare in essa: nel luccichio che rimane (anche se Limbo-Lingua, e hai conosciuto il peggiore in essa, immettendo il loro crepuscolo – nel Luccichio).
E non ce n’è un’altra. Essere celato – in essa. Con la speranza. Perfino – senza speranza.

(1977)

Balugina Ljudočka

Un prato.

(Per ricordare. Per ricordare.)

Una bambina-farfallina.

Un tempio.

Una bambina-farfallina.

Un prato.

(1981)

Nella calma di agosto

guarigione:

tra la scapola e il collo
si cela – come una viva creatura sconosciuta
il silenzio umano
ingenuo e dorato –

matura per la memoria:

finora non c’era la parola! – ed ecco – come un soffio entra
nell’illuminazione semi-vuota:

come una preghiera ancora incomprensibile –

(come per un bambino)

(1984)

Di nuovo:
l’aria tra le cime – delle betulle

più luminosa:

la libertà:

(da tempo)

(1987)

La gente come un tempio

E le anime come candele, che si accendono una dall’altra.

(6 gennaio 2002, vigilia di Natale, villaggio di Romaškovo)

***

Gennadij Ajgi nasce nel 1934 a Šajmurzino, in Ciuvascia (Russia). Appartiene all’etnia dei Ciuvasci. Negli anni Cinquanta studia all’Istituto Letterario Gor’kij di Mosca, da cui viene espulso per un volumetto che “mina le basi del realismo socialista”. Al 1958 risale la sua prima raccolta poetica in lingua ciuvascia. Su consiglio di Boris Pasternak, dal 1960 comincia a scrivere versi in russo. Dal 1961 al 1971 lavora al Museo Majakovskij di Mosca. Cura l’iconografia completa dell’opera del grande poeta futurista, organizza mostre di Malevič, Tatlin e altri artisti dell’avanguardia russa. Traduce in lingua ciuvascia molti poeti russi ed europei. Per l’antologia Poeti di Francia (1968), che comprende 77 autori francesi in traduzione ciuvascia, riceve nel 1972 un riconoscimento dall’Accademia di Francia. Poi seguono le traduzioni dei poeti polacchi e ungheresi. Dagli anni Settanta comincia a pubblicare versi sulle riviste russe dell’emigrazione, come “Grani” e “Kontinent”. Dal 1988, con l’avvento della perestrojka, i suoi testi escono anche su riviste russo-sovietiche “Volga”, “Rodnik”, “Družba narodov”, “Literaturnoe obozrenie”, “Arion” e “Ogonek”. Nel 1987 vince il prestigioso premio Andrej Belyj e nel 2000 il premio Pasternak. Tra le sue raccolte poetiche si ricordano: Stichi 1954-1971 (Versi 1954-1971, 1975), Ditja-i-roza (Il bimbo e la rosa, 1990), Zdes’ (Qui, 1991), Teper’ vsegda snega (Ora sono sempre le nevi, 1992), Poezija-kak-molčanie (Poesia come silenzio, 1994), Tetrad’ Veroniki. Pervoe polugodie dočeri (Il quaderno di Veronica. I primi sei mesi di mia figlia,1997), Poklon-peniju (Inchino al canto, 2001), Prodolženie ot’ezda (Il proseguimento della partenza, 2001). In seguito a una grave malattia, si spegne il 21 febbraio 2006.