Mafie

Le indagini con Beppe Montana e la telefonata che poteva evitare l’autobomba per Chinnici

La mafia uccide solo d’estate è un film di Pif. Quando girava le scene, mi telefonava, chiedendomi dettagli utili sugli accadimenti di mafia a Palermo. Pif poi volle ringraziarmi nei titoli di coda.

Quindi, nei mesi di luglio, la mafia compì decine e decine di omicidi da Boris Giuliano, Rita Atria, il collega Gaetano Cappiello e la strage di via D’Amelio. Ma oggi vorrei ricordare la morte del commissario di pubblica sicurezza Beppe Montana e del dottor Rocco Chinnici: uccisi rispettivamente il 28 luglio 1985 e 29 luglio del 1983. Io penso che la strage di via Pipitone, dove morirono Rocco Chinnici, Mario Trapassi, Salvatore Bortolotta – entrambi carabinieri – e il portiere dello stabile, Stefano Li Sacchi, poteva essere evitata. Ne sono certo.

Alcuni giorni prima della strage, il libanese Bou Chebel Ghassan telefonò al funzionario Tonino De Luca, della Criminalpol di Palermo, annunciando un prossimo attentato mediante un’autobomba. Nessuno, e ripeto nessuno, ipotizzò che la vittima predestinata potesse essere il Consigliere istruttore Rocco Chinnici. Una sottovalutazione che ebbe un esito funesto. Io ero un semplice sottufficiale della squadra mobile di Ninni Cassarà e, quindi, un semplice manovale, ma se si fosse analizzato il periodo investigativo, menzionato nel rapporto congiunto firmato da noi e l’Arma, credo che sarebbe stato facile individuare nella persona di Rocco Chinnici il destinatario dell’autobomba annunciata dal libanese. E, quindi, metterlo in sicurezza. Occorre anche rimarcare che di seguito al rapporto Chinnici spiccò 161 mandati di cattura nei confronti di mafiosi, tra cui quello di Michele Greco – da me conosciuto sin da bambino – e sino a quel momento incensurato e titolare di porto d’armi.

A strage avvenuta, Ninni Cassarà nel consegnarmi la foto segnaletica del libanese mi disse: “Vai all’hotel Zagarella, lo contatti tramite questa parola d’ordine e lo conduci qui”. Giunsi all’hotel e feci fatica a identificarlo tra i presenti: nessuno di loro era con la testa rasata, come evidenziato nella foto. Ma poi mi resi conto che calzava un perfetto parrucchino.

Salito in auto mi chiese dove l’avrei condotto: “Alla mobile”, risposi io. Immediatamente si fece serio e si ammutolì: non voleva andarci. Poi tornai in albergo per invitare la compagna del libanese a seguirci. Inizialmente, Bou Chebel Ghassan era un testimone. Ma nel corso della serata/nottata e dopo l’interrogatorio su “pressione” del ministero degli Interni il libanese venne tratto da noi in arresto. Ninni Cassarà era contrario, avrebbe voluto infiltrarlo nella famiglia di Corso dei Mille, tant’è che sin dallo stesso pomeriggio una squadra aveva iniziato a pedinare alcuni mafiosi indicati dal libanese: pedinamenti che durarono giorni e giorni, sino all’arresto di alcuni soggetti.

Quella notte registrai il malumore di Ninni, che mi disse: “Abbiamo perso una bellissima occasione”. Ipotizzava, con “dentro” il libanese, di dare un duro colpo alle famiglie di Corso dei Mille e Ciaculli, ovvero Greco, Vernengo, Graviano. Concludo dicendo che se Rocco Chinnici fosse stato messo in sicurezza in una caserma, la strage di via Pipitone Federico non sarebbe accaduta.

E ora ricordo, più che un funzionario di polizia, un carissimo amico, il commissario di polizia Beppe Montana: fu ucciso ad Aspra, mentre faceva rientro con la barca nel porticciolo. L’omicidio di Beppe mi colpì profondamente. Entrambi siamo stati in servizio alla mobile palermitana, sino a quando io fui allontanato da Palermo per motivi di sicurezza. Insieme avevamo condotto importanti indagini, traendo in arresto alcuni mafiosi. Riuscimmo a localizzare una raffineria di droga scoprendo un grosso deposito di armi appartenenti alla cosca di Ciaculli.

Operammo anche nel catanese e siracusano, arrestando un noto imprenditore di Catania e il mafioso Salafia Nunzio. Nei primi mesi del 1985 Cassarà chiese e ottenne la mia presenza in maniera riservata a Palermo per condurre insieme a Beppe un’attività investigativa finalizzata alla cattura di Michele Greco che durò diverse settimane. Un confidente mi aveva detto che il Greco era solito soggiornare in una villa isolata delle Madonie. Quindi io e Beppe con un’auto presa a noleggio monitorammo la villa. Una notte s’era deciso di fare il blitz, Cassarà fece convergere nei pressi di Cefalù decine di colleghi e carabinieri. Facemmo il summit per organizzare l’intervento ma il capitano dei carabinieri, Gennaro Scala, ci sconsigliò di intervenire per non bruciare la sua attività in loco che stava dando buoni risultati.

Pertanto rientrammo in sede. Poi Michele Greco fu arrestato dai carabinieri a Caccamo, non lontano dalla villa. Il giorno prima di lasciare Palermo sia io che Montana e Cassarà ci recammo nel ristorante “Lo Sceriffo” di Monreale. Tre amici riuniti attorno a un tavolo. Ricordo che io e Ninni prendemmo in giro Beppe che stava collaborando con una cronista francese. Un pomeriggio goliardico, dove ci dimenticammo di essere poliziotti. Non rividi più Beppe e nemmeno Ninni, che fu ucciso il 6 agosto dello stesso anno.