Si impone una riflessione sulla recente ordinanza del Tribunale di Caltanissetta, nota per l’arresto, tra gli altri, dello storico avvocato del neofascista Stefano Delle Chiaie, Stefano Menicacci. Il provvedimento prende le mosse da conversazioni intercettate dello stesso Menicacci, svolte nell’ambito di indagini sulle stragi del ’92. Questi invitava spudoratamente i suoi interlocutori a negare che Delle Chiaie fosse stato in Sicilia in prossimità di quei tragici eventi. La chiara intenzione era dunque quella di proteggere l’ex leader di Avanguardia nazionale: ma da cosa? Il neofascista di sicuro frequentò l’isola in quel periodo – esistono diverse evidenze – e lo fece sostenendo progetti piduisti di rottura dell’ordine costituzionale: venne pure indagato, insieme a Menicacci, al tempo dell’inchiesta (poi archiviata) sui cosiddetti Sistemi Criminali della Procura di Palermo. Da cosa deve proteggerlo la sua stretta cerchia di amici? Ad ogni buon conto, Menicacci è chiamato a rispondere di falsa testimonianza.

Bene. Da quelle succulente telefonate si è poi appreso di un piano contro magistrati poco graditi messo a punto da vecchi arnesi del fascismo che hanno tentato di accreditarsi presso gli ambienti di Palazzo Chigi. Nelle loro intenzioni c’era un “Osservatorio” delle attività della magistratura; progetto, a detta delle persone intercettate, già attivo. In questa vicenda potrebbe essere contestata la legge Anselmi contro le associazioni segrete. Bene, di nuovo. L’Osservatorio dei fascisti che provano a contattare gli amici di Giorgia Meloni è una brutta storia. Viene però da chiedersi: non è che si potesse aspettare un po’, almeno per sentire qualche telefonata in più, qualcosa che avrebbe permesso di mettere all’angolo i fascistoni e i loro amichetti, di capire meglio i pesci finiti nella rete? Perché l’impressione è che ci sia troppo poco. Ma probabilmente sbagliamo.

Detto tutto ciò, vediamo al punto. L’indagine ha messo sotto accusa anche l’ex brigadiere Walter Giustini, e qui la faccenda si fa molto insidiosa. Lo abbiamo già conosciuto dalle inchieste di Paolo Mondani per Report nelle quali ha raccontato di aver appreso dall’informatore Alberto Lo Cicero delle frequentazioni di Delle Chiaie con boss locali del calibro di Mariano Tullio Troia, uno di fronte al quale anche Totò Riina mostrava deferenza. E di aver saputo prima della strage di Capaci che Salvatore Biondino era l’autista di Totò Riina. Lo Cicero, poi divenuto collaboratore, aveva conosciuto Giustini e il suo collega Michele Coscia dopo un attentato di fronte alla falegnameria dove lavorava, che deve avergli suggerito di avere più prudenza. I due carabinieri presero ad indagare sulla sua vita, incontrando anche la di lui fidanzata, Maria Romeo, la quale ebbe di sicuro un ruolo propulsivo nella scelta di Alberto di collaborare. Fu lei a buttare giù il muro e a dire a Giustini e Coscia: “guardate che se la fa con i mafiosi”. E poi giù tutto.

Ebbene, Giustini è accusato di depistaggio: dicono i giudici in quell’Ordinanza che avrebbe creato un gran polverone, perché non si trovano riscontri alla sua versione. L’ex brigadiere, da tempo in pensione, è un tipo molto schietto e diretto, un romano doc, dai modi un po’ guasconi, anche con i superiori – verso i quali, tuttavia, pare avere assoluto rispetto gerarchico. Pare anche che abbia fatto infuriare un ufficiale del calibro di Mario Mori con le sue battutine sul silenzio attorno alla casa di Riina subito dopo il suo arresto. Diceva che non si vedeva nessuno a sorvegliarla. Insomma, un tipo così, che parla senza stare a vedere se qualcuno se ne avrà a male. Il suo carattere vivace si comprende dalle conversazioni riportate nel provvedimento, nelle quali si ha l’impressione che si inalberi quando gli si fa notare che le sue relazioni di servizio sono scomparse, soprattutto quella “corposa cartella gialla” nella quale c’era il primo ricco racconto dei fatti.

Il punto è che davvero scomparvero. Tante carte sono scomparse. Alcune poi ricomparse grazie alle ricerche successive, in questa storia intricatissima, talmente intricata che non si può neanche raccontare. Ricomparve molto tempo dopo, ad esempio, la relazione del capitano Gianfranco Cavallo scritta il 5 ottobre del 1992 e trasmessa alla territoriale dell’Arma e alle procure di Palermo e Caltanissetta: venne ripescata solo nel 2007 nell’archivio Sidda-Sidna, cioè quello in cui finiscono tutti i contributi delle direzioni distrettuali antimafia – ordinanze, provvedimenti e relativi allegati. E in quella relazione l’ufficiale riferiva i racconti di Maria Romeo che sapeva, tramite suo fratello Domenico, di Delle Chiaie, del fatto che questi fosse amico del boss Troia e che avesse avuto un ruolo nella strage di Capaci.

Si può ben capire che le testimonianze di Lo Cicero e della sua compagna Maria Romeo sono centrali per un eventuale impianto accusatorio che sposti il ruolo di Delle Chiaie dal suo noto attivismo politico in quella fase, teso ad affossare il vecchio sistema dei partiti per far spazio a nuovi soggetti, ad un fattivo coinvolgimento nell’evento stragista. Se la credibilità di Walter Giustini è affossata, Delle Chiaie – con tutta la filiera di apparati sui amici – ne esce, diciamo così, salvo. Quello è dunque un passaggio delicato verso il quale la Procura di Caltanissetta sembra disposta a giocarsi le sue carte.

Vedremo. Restano quelle carte sparite: perché? Resta quel passaggio inspiegabile su Salvatore Biondino, chiamato erroneamente da Maria Romeo, in una prima testimonianza, Biondolillo, nome curioso ma evidentemente destinato a restare nelle menti di chi lo ascolta: Baldassare Di Maggio, l’uomo che secondo la leggenda portò alla cattura di Totò Riina, e che mai nella sua vita incontrò Maria, appena acciuffato disse agli uomini del generale Francesco Delfino – che si erano letti tanti verbali in quelle ore – che per prendere il grande capo dovevano andare a cercare un certo Biondolillo. Proprio così, è scritto nei verbali. Il Capitano Ultimo impazzì a cercarlo, trattenendosi fino a tardissimo nell’ufficio dell’anagrafe, ma niente. Fu proprio Giustini, tornato in caserma in piena notte, di ritorno da un interrogatorio, a dire ai colleghi, con quella sua cadenza romanesca: “ahó, non sarà mica Biondino?”. Lui lo aveva già adocchiato e fotografato. Di gran lena andarono a far veder la foto a Baldassarre che disse “Sì!!! È lui”. Lo aveva visto insieme a Riina.

È un passaggio che va tenuto in mente quando si pensa al brigadiere Giustino e alla sua sorte che pare il cuore di una Ordinanza apparentemente centrata su altro. Ma, a questo punto, tenete a mente: se cade il brigadiere, vince di sicuro Delle Chiaie, di nuovo, con tutti i suoi amici del Viminale.

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