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Ucraina, il nemico ottobre e il bisogno continuo di munizioni: la controffensiva di Kiev tra ambizioni e campo di battaglia

“È difficile aspettarsi che la controffensiva sia rapida, dato che i russi hanno avuto il tempo di preparare linee di difesa a scaglioni. La strategia dell’Ucraina non è riempire le posizioni del nemico con i corpi dei propri soldati, ma sconfiggerlo tatticamente. Sì, ognuno di noi vorrebbe che la controffensiva fosse più veloce, ma le vite dei soldati non hanno prezzo. Tanto più che il risultato che conta è quello alla fine”. A parlare così è l’ex capo civile e militare dell’oblast di Luhansk, Serhiy Hayday, che ha anche aggiunto che “l’importante sarà ottenere il risultato entro ottobre perché poi le piogge renderanno fangoso il terreno e i mezzi non saranno in grado di muoversi efficientemente”.

Soprattutto, Hayday ha descritto – dall’interno – quello che i leader ucraini considerano una vittoria sul campo da conseguire entro la prima parte dell’autunno: impedire ai russi di prendere controllo della regione di Luhansk nell’interezza dei suoi confini amministrativi, liberare la città di Melitopol nel sud dell’oblast di Zaporizhzhia, prendere il controllo dell’istmo di Chongar -la principale via di collegamento tra la Crimea e il continente – o almeno tenerlo stabilmente sotto il tiro dell’artiglieria e, infine, infliggere gravi danni al passante ferroviario del ponte di Crimea, quello usato dalle forze armate. Così, l’uomo politico ucraino ci mette in condizione – senza indicarcelo – di prendere le misure dello spazio fisico che gli ucraini dovranno necessariamente liberare per raggiungere questi risultati; corrisponde alla superficie su cui dovranno impegnarsi maggiormente in combattimenti per ottenere risultati strategici: il territorio di cui parliamo è quello tra la linea del fronte che va da Kopany a Robotyne e Verbove -a nord- e le cittadine di Tokmak e Chernihivka – a sud – un parallelepipedo di meno di trenta chilometri di profondità e avente come base l’unica linea ferroviaria tra i territori occupati dai russi nell’Ucraina meridionale e la Russia stessa, attraverso l’oblast di Donetsk. Una volta reciso questo collegamento ferroviario, con le forze armate russe che si spostano quasi esclusivamente su rotaia, tutto quello che la Russia ha occupato nella parte sudoccidentale dell’Ucraina resterà tagliato fuori dai rifornimenti: le truppe di occupazione di Mosca di stanza a Melitopol si troveranno con una logistica superiore a cento chilometri, quelle a Nova Khakovka a più del triplo: insostenibile. Ma che cosa manca agli ucraini per raggiungere gli obiettivi della controffensiva? Sono davvero rimasti impantanati dietro a barriere di mine? I campi minati non fermano gli attacchi: lo fanno i soldati trincerati dietro di loro. E questi hanno bisogno di rifornimenti costanti – soprattutto per l’artiglieria – di morale e di comandi che funzionano. La storia del “licenziamento” del generale Ivan Popov, comandante della 58a Armata del Distretto militare Sud impegnata proprio a Zaporizhzhia, dimostra che al di là dei campi minati le cose non stanno andando bene come certe analisi poco meditate vorrebbero far credere: “Ho chiamato tutte le cose con il loro nome – avrebbe detto su Telegram lo stesso alto ufficiale-, ho focalizzato l’attenzione sulla tragedia più importante della nostra guerra: i grandi limiti del nostro fuoco di controbatteria, la mancanza di strumenti di ricognizione oltre che l’enorme massa di morti e di feriti di nostri fratelli a causa dell’artiglieria del nemico”.

Ma tutto questo come risponde alla domanda, di molti occidentali e non solo, sui tempi apparentemente lunghi della controffensiva iniziata sei settimane fa? Il fatto è che l’Ucraina ha ambizioni ben più ampie dei risultati indicati da Hayday: lo stesso ex governatore di Luhansk indica il “raggiungimento dei confine del 1991” come obiettivo strategico. Per fare questo, non basta una campagna di quattro mesi e non ha senso “bruciare” quello che in questo momento è il più forte esercito d’Europa per poi, durante l’inverno o a primavera, trovarsi con i russi di nuovo all’attacco. In questa logica, “la Crimea è importante anche per scuotere la posizione dello stesso Putin, perché in caso di liberazione della penisola, il regime russo sarà fortemente scosso” dato che non avrà nulla da “vendere” come una conquista all’opinione pubblica russa. In un simile contesto, la controffensiva in corso costringe la Russia a spremere il “tesoretto” dei cittadini forzosamente mobilitati lo scorso autunno: la campagna di artiglieria attuata al momento da Kiev non mira solo a colpire quanti più depositi e basi possibile, ma anche a “stanare” le riserve, costringendo gli ufficiali russi a “spendere” le riserve a un ritmo crescente e non sostenibile nel breve-medio termine. Non a caso, Haiday ritiene che l’Ucraina abbia una chiara esigenza in fatto di forniture dall’occidente capaci di “accelerare” la conclusione dello scontro: “Proiettili, proiettili e ancora proiettili, per tutti i tipi di artiglieria. Questo è vitale ora: l’artiglieria consente di macinare i campi minati e le fortificazioni dei russi. Subito dopo, viene come importanza la difesa aerea: chiudere il cielo sull’Ucraina è un obiettivo strategico della difesa”. Già, i rifornimenti occidentali non sono un dato del problema, ma col loro aumentare o diminuire impattano sulla guerra: così si spiega l’afflosciamento della controffensiva del 2022 nell’inverno. Non ha molto senso, quindi, dire che l’Ucraina ha già impiegato il 10, 20 o 30 per cento dei mezzi, senza dire anche che non ha impiegato ancora nemmeno la metà delle truppe, proprio per quella cautela di cui sopra. Insomma, il 10 o il 20 per cento di un terzo alla fine non è un grande numero considerando che, dall’altra parte, le perdite russe sono molto maggiori.

Ma le cose stanno andando davvero a rilento? Se uno sovrappone le cronache del 2022 a quelle del 2023 non proprio: tra giugno e agosto si moltiplicarono le informazioni su micidiali colpi di Himars che misero alle strette la logistica e soprattutto i nervi delle truppe russe al punto che, quando il 6 settembre partì, all’improvviso, l’attacco nella regione di Kharkiv il comandante delle forze di terra ucraine, il generale Oleksandr Syrskyi, aveva una forza almeno cinque volte superiore a quella russa su quel fronte. Allora come oggi, i vertici militari ucraini avevano “risparmiato” truppe per un attacco imprevisto e imprevedibile. Allora, i russi erano dissanguati: avevano bruciato le loro forze nelle battaglie di Kiev, Mykolaiv, Severodonetsk e Mariupol. Ora, hanno avuto la “cura Surovikin”, il generale – amico di Prigozhin e caduto in disgrazia – che ha modellato un efficace sistema di difesa attorno a centinaia di migliaia di mobilitati poco addestrati.

Stavolta, tuttavia, sembra improbabile che un attacco a sorpresa avverrà dalle parti di Kharkiv: non stupisce, essendo le scelte del generale capo di stato maggiore Valery Zaluzhny improntate alla cautela, nemmeno l’obiettivo conservativo fissato per la regione di Luhansk e indicato da Hayday nell’impedire ai russi di occuparne i confini amministrativi. Segno che realisticamente a Kiev ritengono più difficili da recidere i collegamenti logistici tra questa parte di territori occupati -compresa la porzione nord-orientale dell’oblast di Kharkiv- circondati dalla Federazione russa e più facili da rifornire per Mosca. E più facile farlo nel sud, potendo mettere in croce la Crimea e con quella Putin stesso.