di Leonardo Botta
Fine anni 90. Avevo cominciato da poco la professione di ingegnere e scoprii ben presto cosa significasse fare la fila agli sportelli pubblici: gli uffici tecnici dei comuni, il Genio Civile, il catasto. Ricordo che, per consegnare pratiche di aggiornamento catastale, mi presentavo alle cinque di mattina davanti ai cancelli dell’Agenzia del territorio di Salerno per scrivere il mio nome sul foglio che il primo arrivato (magari giunto nottetempo dal Cilento!) aveva predisposto. E come dimenticare le carriole di tabulati cartacei dei progetti strutturali che trasportavo come un facchino al Genio Civile e che venivano depositati nei suoi enormi e polverosi scaffali. Non credo che andasse meglio agli altri operatori o ai cittadini impegnati quotidianamente in file chilometriche presso gli uffici anagrafe o dello stato civile, l’Agenzia dell’Entrate, i consorzi di bonifica.
Altri tempi: oggi possiamo pensar tutto il male possibile dei tempi che corrono, ma certo non possiamo non salutare con soddisfazione la nuova era del digitale, della dematerializzazione degli atti e dello smart working. Oggi con un click invii un po’ di tutto dove ti pare, e con i pagamenti online ti risparmi pure le code in posta, banca o nei negozi di valori bollati. Addirittura (potenza dello Spid) puoi richiedere all’amministrazione i tuoi certificati anagrafici mediante il portale telematico Anpr, senza recarti agli sportelli comunali. Tutto ciò senza trascurare un altro dettaglio: i documenti trasmessi e archiviati telematicamente saranno, in ogni momento, facilmente consultabili senza dover impegnarsi in quelle fantozziane ricerche dei faldoni cartacei negli scantinati degli enti.
Insomma, una vera rivoluzione che ci ha restituito tempo (dio solo sa quanto prezioso) e altri innegabili vantaggi: meno trasferimenti e meno bestemmie mentre si è imbottigliati nel traffico o in cerca di parcheggi liberi, meno consumo di carburante e produzione di gas serra, meno alberi abbattuti per produrre cellulosa. Sarebbe interessante capire come noi umani spenderemo il tempo guadagnato: per i nostri hobby, per coltivare meglio i rapporti interpersonali, per viaggi di piacere o magari per aumentare la nostra produttività lavorativa; ciascun come gli pare: il buon dio, o madre natura, c’ha concesso la facoltà di autodeterminazione.
Certo, mi si dirà che non è tutto oro quel che luccica; dovremo stare attenti ai rischi connessi: alienazione da dispositivo elettronico, pirateria informatica et similia. Ma sorvoliamo, per carità cristiana, sulle polemiche che i complottisti di tutto il mondo in servizio permanente effettivo vomitano riguardo a fantomatici “grandi fratelli” che, grazie alla digitalizzazione, controllerebbero le nostre vite, i nostri conti in banca e persino le nostre anime.
Piuttosto, ricordo a me stesso come una decisa accelerazione a queste attività “in remoto” sia stata impressa dal tragico avvento della pandemia, che ha avuto almeno il pregio di indurre i governi a introdurre in modo capillare, dalla sera alla mattina, il telelavoro e, nelle scuole, la didattica a distanza. Ecco, credo che il dado sia tratto: tali pratiche saranno sempre più e meglio applicate (pur con tutte le cautele del caso).
Ne segnalo una relativa, appunto, all’istruzione: com’è ormai tristemente noto le sempre più frequenti bizze del clima provocano, nei molti territori italiani a rischio idrogeologico, diverse interruzioni della didattica in condizioni di allerta meteo. Ecco, in questi casi piuttosto che chiudere prudenzialmente i plessi scolastici come fanno legittimamente molti sindaci, si potrebbero garantire videolezioni tra docenti e studenti posti al sicuro nelle proprie abitazioni, grazie a connessioni internet sempre più veloci e alla sempre più capillare disponibilità di device nelle nostre case tra pc, laptop, tablet e smartphone. Unico particolare: mi risulta che le norme scolastiche non consentano l’attivazione della didattica digitale in caso di allerta meteo.