Arriverà un giorno, forse, in cui le sanzioni si faranno sentire con tutta la loro durezza sull’economia russa. Ma quel giorno non è oggi. Anzi, la Banca centrale russa ha rivisto al rialzo le stime sul Prodotto interno lordo 2023 che ora è atteso crescere fino al 2,5%, oltre il doppio rispetto all’Italia o la zona euro. Se così fosse l’economia russa recupererebbe appieno il terreno perso sinora a causa della guerra. La banca centrale russa, guidata da Elvira Nabiullina, sinora è stata particolarmente prudente nelle sue previsioni, dunque la nuova stima gode di una certa attendibilità. Nei giorni scorsi anche dal Fondo monetario internazionale erano arrivate indicazioni positive. Il Fmi ha rivisto le sue previsioni sulla crescita di Mosca più che raddoppiandole da + 0,7% a + 1,5%. “La disoccupazione del paese è vicina al minimo storico e quest’anno i salari reali sono cresciuti costantemente, mentre le fabbriche statali e le aziende private competono per la manodopera scarsa”, si legge in un’analisi del quotidiano statunitense New York Times.
Solo tre mesi fa diversi analisti occidentali prevedevano un’economia russa in recessione nel 2023, con un calo del Pil dello 0,9%. La crescita è spinta anche dalla forte spesa statale, aumentata del 50%, per sostenere la guerra. Elemento che pone dubbi sulla sostenibilità di questo mini boom economico. Certo è che l’incremento della spesa è possibile anche perché petrolio e gas continuano a portare soldi al Cremlino. La riduzione dei flussi verso i paesi occidentali è stata più che compensata dai maggior acquisti da parte dell’Asia (Cina e India soprattutto) e di altre aree del globo. Dopo il taglio delle forniture occidentali, l’industria nazionale ha iniziato ad approvvigionarsi altrove. Secondo un’inchiesta della testata online Vyorstka, ripresa a sua volta dal Moscow Times, si è saputo ad esempio che nella prima metà di quest’anno la Russia ha importato microchip fabbricati all’estero per un valore di oltre 502 milioni di dollari (455 milioni di euro) nonostante le sanzioni di Usa e Ue. “Centinaia” di società, la maggior parte delle quali di Cina e Hong Kong, sono coinvolte nelle forniture. Secondo la testata, le sanzioni occidentali non hanno impedito neanche la riesportazione di iPhone per un valore di 389 milioni di dollari dall’inizio della guerra. (ANSA).