I cambiamenti climatici avranno impatti diretti e indiretti sul turismo in Italia. Non vuol dire che non si possa fare nulla per mitigarne gli effetti. Si dovrà agire su più fronti, ma occorre invertire la rotta già nei prossimi anni. Perché non ci sono solo alluvioni, nubifragi e altri eventi meteorologici estremi, che possono spazzare via uno stabilimento balneare o danneggiare una struttura ricettiva in ogni periodo dell’anno e ovunque. Ci sono effetti indiretti, come l’innalzamento del livello del mare e fenomeni che remano contro il turismo, come gli incendi o l’erosione costiera. Ma c’è, soprattutto, la possibile perdita di attrattiva del clima mediterraneo, che ogni anno richiama decine di milioni di turisti. In questi giorni in Sardegna si sono toccati i 48°: se dovesse diventare la normalità per diverse regioni o se le temperature aumentassero ulteriormente, l’Italia potrebbe essere considerata una meta ‘troppo calda’ per l’estate e, allo stesso tempo, dal clima instabile. Le parole del ministro della Salute tedesco Karl Lauterbach (“queste destinazioni non avranno futuro a lungo termine”) mettono ‘il dito nella piaga’ senza pietà, dato che la Germania ne trarrebbe indubbi vantaggi, ma non raccontano nulla di nuovo. “Se si guardano i dati della Conferenza nazionale italiana sul clima del 2007 c’erano già stime sui potenziali impatti del cambiamento climatico sul turismo” spiega a ilfattoquotidiano.it Francesco Bosello, professore di Economia dell’ambiente all’Università Ca’ Foscari di Venezia e senior scientist del Centro Euro-Mediterraneo sui cambiamenti climatici (Cmcc). Al momento, tuttavia, le politiche del governo sembrano andare in un’altra direzione, come dimostrato dalla revisione del Pnrr, con il taglio delle misure contro il rischio alluvioni.

Se in estate farà troppo caldo – “Piacevolezza e affidabilità del clima dipendono in modo particolare da temperatura e umidità. I turisti non visitano ad agosto i luoghi più caldi del mondo, anche se molto belli” spiega Bosello. Accadrà anche in Italia? “Non è che non verranno più, ma d’estate potranno privilegiare località più fresche, anche del Nord Europa”. Alcuni dati già indicano che il caldo record sta spingendo i cittadini dell’Europa Meridionale a prenotare vacanze in mete più a Nord. Solo che non tutti i turisti viaggiano anche durante il resto dell’anno e, comunque, se lo faranno avranno a disposizione meno giorni (e risorse) da poter spendere in Italia. Secondo alcuni studi, riportati nel report del Cmcc sull’Analisi del rischio legato ai cambiamenti climatici e citati anche nel Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc) “per il venir meno del ‘comfort climatico’ – spiega Bosello – gli arrivi internazionali potrebbero ridursi del 15% con un aumento della temperatura media globale di 2°C rispetto ai livelli pre-industriali (oggi siamo già a circa 1,1°) e del 21,6-22%, con un incremento che va dai 3,5°C ai 4°C”. Anche tenendo conto dei turisti italiani, l’impatto netto sulla domanda risulterà comunque, nei due scenari climatici, in una contrazione che va dal 6,6% e all’8,9% “con perdite dirette per il settore – spiega Bosello – stimate rispettivamente in 17 e 52 miliardi di euro”.

Gli impatti diversi sulle regioni – Le aree del Nord Italia subiranno un aumento di temperatura e si registreranno meno precipitazioni ma più intense. A preoccupare maggiormente sono i grandi centri urbani (città d’arte comprese) che già soffrono il fenomeno delle isole di calore dovute a diversi fattori, molti dei quali causati dalle attività dell’uomo (leggi l’approfondimento). Come spiegato da Paola Mercogliano, climatologa del Cmcc che ha partecipato alla stesura del Pnacc, “con 1,5° in più, la durata delle ondate di calore aumenterà entro il 2050 del 100%, ma si arriverebbe al 261% con un aumento di 2 gradi”. Se a Milano nel 2020 ci sono stati 10 giorni di ondate di calore, un aumento medio di 1,8 gradi (ma d’estate si arriverebbe a 2,7°) farebbe salire, nel 2040, i giorni di caldo infernale a 19. A Roma si passerebbe dai 10 attuali a 18. Non potendo prevedere con largo anticipo quando ci sarà l’ondata di calore e per quanti giorni, per visitare queste città, che possono contare su diverse attrattive storiche e culturali, i turisti potrebbero scegliere periodi meno caldi (e più brevi). “Le regioni del Sud sono ancora più esposte – spiega Bosello – dato che le temperature sono già più alte. Anche a parità di incremento si arriverà a livelli maggiori. E lo sono ancora di più se hanno puntato quasi esclusivamente su mete balneari e intrattenimento”. Una vulnerabilità simile a quella delle località sciistiche per il Nord.

Cosa resterà delle stagioni sciistiche – E ad oggi l’effetto più lampante del cambiamento climatico sul settore riguarda proprio il turismo invernale. Per il normale svolgimento di una stagione occorre che vi sia una copertura nevosa di almeno 30 centimetri per almeno 100 giorni. Come spiegato a FQ Millennium da Vanda Bonardo, responsabile nazionale Alpi di Legambiente, “la Linea di affidabilità della neve (Lan), l’altitudine che garantisce spessore e durata sufficienti, oggi è tra i 1500 e i 1600 metri, ma entro il 2050 sarà impossibile per impianti sotto i duemila metri”. Secondo l’Ocse, con un altro grado in più, nessuna delle stazioni sciistiche del Friuli-Venezia Giulia avrebbe una copertura sufficiente. Lo stesso accadrebbe al 33%, 32% e 26% delle stazioni di Lombardia, Trentino e Piemonte. Con un aumento di 4 °C e Lan a 2100 metri, sopra quel limite resterebbe operativo solo il 18% delle stazioni oggi attive. “Senza precipitazioni nevose, né garanzie sulla copertura stagionale – aggiunge Bosello – non si potrà più praticare il turismo invernale nelle forme che conosciamo. Cambieranno tipologia di turisti, domanda e indotto. Si potrà puntare su enogastronomia, escursioni, sport, ma l’indotto garantito dalla stagione sciistica non è facilmente rimpiazzabile. Di solito, chi va in inverno in montagna, va per sciare e per vedere la neve”. Già oggi l’Italia ha il 90% delle piste innevate artificialmente con un costo che, stima Legambiente nel report ‘Neve diversa’, è passato dai 2 euro a metro cubo del 2021-2022, ai 3-7 euro nella stagione 2022-2023. “Un conto è se devo innevare un po’, diverso è se devo innevare tutta la stagione – commenta Bosello – perché si scii su una striscia bianca, in mezzo al verde. Anche il paesaggio ha un suo valore”.

Gli effetti indiretti del climate change sul turismo – Ci sono poi, una serie di effetti indiretti del cambiamento climatico, tra l’altro aggravati dalle attività dell’uomo. Basti pensare alla siccità, al riscaldamento dei mari con l’esplosione demografica di alghe e meduse, che mal si conciliano con il turismo e, soprattutto, alla pressione antropica sulle coste, già minacciate da eventi estremi e innalzamento del livello del mare, dovuto all’espansione termica, ancor prima che allo scioglimento dei ghiacciai. Entro il 2050 si stima che l’erosione avrà cancellato in media altri 17 metri di spiaggia, che vanno aggiunti ai chilometri che il mare ha già sottratto solo tra Calabria, Sicilia, Sardegna e Puglia. E poi ci sono le situazioni particolari di Venezia e del Delta del Po, soggette al fenomeno della subsidenza. Ci stiamo preparando a un altro turismo o si naviga a vista? “Il quadro è molto frammentato, ci sono amministrazioni grandi e piccole che si danno da fare, altre sono più latitanti – aggiunge Bosello – mentre il dibattito politico è ancora molto arretrato. Dovremmo ricordare che la tradizionale adattabilità del settore, di fronte a emergenze e stagioni negative, non è infinita”.

Il tempo per agire – Ha ragione il ministro tedesco? “È possibile non far peggiorare ulteriormente le cose, ma abbiamo tre, quattro anni di tempo per invertire la rotta. Con una serie di interventi di adattamento – aggiunge – che avranno dei costi ma che, tra l’altro, non servono solo a contrastare il cambiamento climatico, ma sono relativi alla buona gestione del territorio, delle città, delle infrastrutture”. Qualche esempio: “Creare zone verdi e contrastare le isole di calore nei centri urbani, ridurre il consumo di suolo, evitare di costruire in aree a rischio idrogeologico, fare prevenzione contro gli incendi”. Questa, però, è metà della storia. L’altra metà è la riduzione delle emissioni. “Se il riscaldamento globale supererà i 2°C, potremmo non essere in grado di adattarci. Significa che vedremo un’estate calda come questa – commenta Bosello – ogni due anni e non ogni dieci. Ricordiamolo prima di tirare un sospiro di sollievo se l’anno prossimo le temperature saranno più basse. Tante tipicità, che pure fanno il turismo italiano, non potranno essere più coltivate, mentre avremo siccità ed eventi estremi che non riusciremo a gestire. Tutto questo significa sì, una perdita di turisti con cui dovremo fare i conti”.

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