Dopo il “golpe sospeso” di Prigozhin e il ritiro più o meno forzato dall’inferno del fronte ucraino, teatro di annientamento ed orrori, la multinazionale privata della guerra che fa capo al Cremlino continua ad essere in prima linea nei conflitti dove la Russia ha interessi immediati o indiretti.

Mentre Putin si dichiara quanto mai “pronto a cercare una soluzione pacifica sull’Ucraina” e come da copione ha intensificato i bombardamenti a Zaporizhzhia, Dnipro e Odessa, i mercenari della Wagner parcheggiati in Bielorussia, grazie all’accordo con il fido Lukashenko si sono spostati verso il confine con la Polonia, e non per “una ricognizione di routine”. Si sono posizionati, non casualmente, su una striscia di terreno che è il crocevia di 4 frontiere “calde” e cioè Bielorussia, Polonia, Lituania e la storicamente contesa Kaliningrad, ora in mani russe, un luogo ideale per estendere a dismisura il conflitto. In concomitanza per alzare la temperatura Lukashenko, megafono di Putin, era tornato sul leitmotiv caro al Cremlino dello smembramento dell’Ucraina – oggetto, a suo dire, delle mire di annessione della Polonia.

Secondo vari analisti, tra cui il generale Camporesi, si tratterebbe del “solito sistema per creare tensione, dell’utilizzo strumentale della provocazione di cui Putin è professionista e a seconda delle situazioni fa un uso spregiudicato delle milizie della Wagner”. Ma dall’angolo visuale dei polacchi che hanno sperimentato per decenni i soprusi e i maneggi sovietici, ora perfezionati dalla manipolazione putiniana, è concreto il rischio che i mercenari – come già accaduto in Polonia e Lituania – si travestano da guardie di frontiera per infiltrarsi tra i migranti che cercano di varcare i confini polacchi. Infatti, come ha ci ha ricordato anche Domenico Quirico, apprezzato dal pacifismo nostrano solo quando bacchetta l’Occidente, “la Wagner è molto più di alcune migliaia di energumeni” come sta dimostrando chiaramente in Africa, dove ha attuato “un’efficace strategia di influenza low cost sfruttando disperazione e malaffare che noi abbiamo consentito. La propaganda russa ci ha sconfitto sul terreno in cui pensiamo di essere padroni, la comunicazione”.

Evgeny Prighozin l’aveva annunciato già pochi giorni dopo il golpe rientrato e nell’apparente incertezza della sua posizione politica a seguito del ricevimento al Cremlino; “rafforzeremo la nostra presenza in Africa”. Così, se non è dimostrato un ruolo decisivo nell’ultimo golpe in Niger, sotto il naso di Usa, Francia, Italia, è indubitabile che la Russia grazie all’onnipresenza della Wagner e al suo modus operandi, di cui la rassegna fotografica di orrori africani nei video di Prigozhin offre un discreto spaccato, sta rinforzando la sua presenza nel Sahel. La Russia è già da tempo il maggiore esportatore di armi nel continente africano (40% del mercato) e quello in Niger è il sesto golpe nel Sahel; non c’è teatro di guerra ad alta o bassa intensità dalla Libia, al Sudan al Centrafrica dove i mercenari sanguinari e giuridicamente inesistenti della Wagner, quasi sempre a protezione di miniere d’oro e diamanti, non siano presenti.

Se con smaccata ipocrisia “istituzionale” Maria Zakharova e Dimitri Peskov hanno mantenuto un bassissimo profilo davanti all’ennesimo golpe e ai manifestanti che con bandiere russe nuove di zecca inneggiavano a Putin, in Russia c’è chi ha espresso manifestamente entusiasmo. Prigozhin in un audio si sarebbe entusiasmato per “la sollevazione anti-colonialista” e l’ideologo ultra-nazionalista Aleksandr Dugin ha dichiarato “Il Niger è nostro. L’ultimo pupazzo della Francia-Africa è stato rovesciato proprio mentre era in corso il Forum Russia-Africa”. Forum che è stato una perfetta vetrina propagandistica per Putin contro l’Occidente “che se ne frega della Carta delle Nazioni Unite e che si ricorda del diritto internazionale solo quando può usarlo contro qualcuno, ovvero la Russia”. E anche il palcoscenico ideale per promettere più grano russo per tutti, per i paesi più poveri naturalmente e gratis, dato che quello ucraino sarebbe andato solo agli odiosi ricchi, mentre all’Africa ne sarebbe stato destinato solo il 3%. Ma è stata anche l’occasione per impegnarsi alla consegna di parte degli armamenti a titolo gratuito.

Così le parole inequivocabili di papa Francesco “distruggere il grano è un’ offesa a Dio”, come il suo appello ai fratelli della Federazione Russa per ripristinare i canali della cooperazione, sono cadute nel vuoto, coperte dal frastuono della propaganda sempre più urlata e stridente con i fatti di un tiranno senza prospettive.

Putin obiettivamente con l’aggressione dell’Ucraina ha realizzato tutto quello che più voleva evitare, e cioè il consolidamento della Nato che con l’ingresso della Finlandia e prossimamente della Svezia “isola” materialmente la Russia, in primo luogo sul fronte del mar Baltico. L’Ucraina, che secondo Putin era meno di un’espressione geografica e quando voleva nobilitarla la definiva “parte di un’unica entità spirituale” assieme a Mosca e che tutt’al più poteva aspirare a fare sine die “lo stato cuscinetto”, si è per ora garantita lo status di candidato membro dell’Unione Europea. E quanto l’Ucraina si sia allontanata dalla sottocultura discriminatoria e oppressiva dominante in Russia e si sia solidamente avvicinata ai valori europei è confermato dal favore crescente per la tutela dei diritti delle comunità Lgbt, ora riconosciuti anche all’interno dell’esercito. Con buona pace dei troppi che in Italia hanno continuato, purtroppo in particolare da sinistra, a condividere, se non l’invasione tout court, quanto meno l’intento putiniano di denazificazione del popolo ucraino.

Putin fonda il suo consenso in molti paesi africani su media, radio, giornali che foraggia tramite la Wagner per diffondere a basso costo le fake news e le parole d’ordine contro “l’imperialismo dei ricchi”. In patria si garantisce il consenso interno con la feroce repressione del dissenso, la disinformazione di stato, la celebrazione ostentata di una grandezza che appartiene al passato. Come ha spiegato Oleg Orlov, co-presidente della Ong premio Nobel Memorial sciolta nel 2021, “il totalitarismo odierno che riecheggia lo slogan nazista ‘un popolo, una patria, un duce’ non è comunista ma appunto fascista perché si ispira a ideologie conservatrici. Adesso al potere nessuno ha un’idea di futuro. Per loro la cosa migliore è il passato”.

Quanto al futuro della Russia e alla fine del regime di Putin, Orlov ha fatto una previsione che non si discosta molto da quella che fece Anna Politkovskaja quasi vent’anni fa: “Questa fine prima o poi arriverà. E’ inevitabile. Ma se arriverà troppo tardi ci saranno conseguenze catastrofiche per la Russia, come stagnazione economica e degrado culturale che la faranno arretrare portandola all’anarchia e al caos” (intervista di lunedì 31 luglio, la Repubblica).

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