Avevo scritto anni fa della delusione dell’elettore di sinistra e di quella forse ancor maggiore dell’elettore Cinque Stelle per la nascita del Governo gialloverde Conte I. Avevo e ho (a distanza di anni) mille dubbi, ma anche la consapevolezza che le motivazioni del M5S – dato il quadro politico dell’epoca – erano sensate. Davanti al niet del centro-sinistra e in particolare del Pd, non c’erano alternative, dopo le politiche del 2018, a un governo di larghe intese (il solito carrozzone) oppure a un governo tra Cinque Stelle e avversari storici ed esecrati. Non c’era alcuna possibilità che si tornasse alle elezioni, e non si può biasimare il presidente della Repubblica, titolare del potere di sciogliere le camere, per questo.

Insomma, il M5S si trovò di fatto costretto, per non gettare alle ortiche ciò che aveva capitalizzato nelle urne, a stipulare il celebre contratto di governo con la Lega. Ne sono usciti provvedimenti discutibili e criticabili (i decreti Salvini su tutti). Tuttavia, occorre anche riconoscere, visto peraltro il consenso ‘postumo’ di cui sta godendo il RdC anche da parte di chi l’ha aborrito fino a ieri, che quel governo – che ha fatto anche cose che non ho condiviso – ha reso possibile una delle misure più importanti degli ultimi decenni, che oggi molti piangono versando spesso lacrime di coccodrillo. La politica è compromesso, soprattutto di fronte a una situazione che avrebbe altrimenti comportato uno stallo e la solita ammucchiata nella continuità del potere che aveva governato fino ad allora. Non si tratta di riconoscere meriti alla Lega, che non ne ha e che semmai ha macchiato, con le proprie richieste (fino a quella, affondata da Conte, dei ‘pieni poteri’), quell’esperienza di governo; bensì affermare che quel ‘diventare subito adulti’ del Movimento, quella perdita improvvisa dell”innocenza’, ha prodotto qualcosa di buono che con ogni probabilità non avrebbe altrimenti visto la luce.

Questo non vuole affatto significare l’esigenza di addivenire sempre e comunque a compromessi così azzardati e rischiosi e così costosi in termini politici: quella perdita dell’innocenza prima con la Lega e poi con il Pd (per non dire del governo Draghi, alla cui partecipazione il Movimento ha posto rimedio in coda facendolo legittimamente saltare) ha avuto dei costi enormi per i grillini, in termini di immagine e (quindi) in termini elettorali. Ma diventare maturi significa questo, significa pagare un prezzo alle proprie scelte. Naturalmente forze politiche che hanno governato con tutto l’arco costituzionale si sono affrettate a mettere alla berlina Conte e i suoi. Ne avevano la scusa, dal momento che i Cinque Stelle avevano costruito la loro fortuna politica sull’idea di non scendere a patti con nessuno; però da che pulpito! E non tanto per l’essersi quelle forze politiche accordate a loro volta con tutti, ma soprattutto perché avevano prodotto con quegli accrocchi dei governi regressivi, frutto di compromessi al ribasso con la sola ragione sociale di continuare a comandare.

Il reddito di cittadinanza è valso la candela della perdita dell’innocenza? Difficile dirlo, ma l’avversione di cui è stato fatto oggetto farebbe pensare di sì: dalla destra (Berlusconi, Meloni, Renzi, buona parte del Pd, che si colloca a destra per le politiche sociali), che l’ha descritto come un provvedimento che avrebbe garantito ai fannulloni di starsene sul divano a gozzovigliare, alla sinistra radicale che invece l’ha presentato come una misura di workfare. Entrambe le critiche distorcevano elementi di realtà: si trattava di una misura per aiutare i poveri (la cui povertà, per le forze di destra, è meritata e frutto di scelte deliberate) e coloro che non erano occupabili, il che si traduce, nel lessico di destra, in un sussidio per stare sul divano; da sinistra si sarebbe voluto legittimamente di più, ma non avrebbe avuto senso affondare l’unica misura sociale para-universale, in mancanza di meglio (un meglio che non arriva mai per il velleitarismo della sinistra stessa).

Ma il RdC è stato fondamentale soprattutto sul piano simbolico. Esso ha dato la forza a milioni di lavoratori di pensarsi titolari di diritti, soggetti non ricattabili, mentre la stampa padronale suonava la grancassa del “non si trovano lavoratori”. Da questo punto di vista, ciò che si prospetta è un disastro sociale non solo nell’immediato, con famiglie sul lastrico, ma per il futuro, ché il messaggio che il governo ha voluto dare è proprio che il lavoratore non ha alcun diritto ad alzare la testa e a lottare.

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