Lo stesso destino di Ida, ex psicologa e mediatrice culturale che parla cinque lingue, oggi 59enne, rimasta anche lei senza lavoro. Dopo aver perso il figlio, racconta al ilFattoQuotidiano.it, si è ammalata per diversi anni, ha perso la casa dove viveva da oltre 30 ed è stata sfrattata. “Piano piano mi sono ripresa. Mi era però rimasto soltanto il reddito, ora me lo tolgono. Con la spesa mi hanno aiutata i volontari di Nonna Roma, ma con le medicine? Grazie al reddito le potevo acquistare, mi ero anche comprata gli occhiali da vista. Come farò a curarmi ancora?”.
Un destino, quello di Ida e Luciana, comune per circa 169mila nuclei familiari, 12mila nella provincia di Roma, la seconda (dopo Napoli, con 21mila) per numero di sussidi sospesi. Perché dopo lo smantellamento e la stretta voluta dal governo Meloni, la volontà di interrompere l’erogazione del Reddito per i cosiddetti “occupabili” a sette mesi si è già trasformata in realtà. Il reddito sarà ancora percepito soltanto dalle famiglie con minori, persone con disabilità o in carico ai servizi socio-sanitari, o persone di età pari o superiore ai 60 anni, come prevede la nuova normativa che dichiara appunto “occupabili” tutti gli altri poveri. Escludendoli dall’Assegno di inclusione al via dal prossimo primo gennaio. Così chi ad agosto perderà il reddito, da settembre potrà al massimo chiedere il Supporto per formazione e lavoro da 350 euro al mese per 12 mesi, non rinnovabili, per seguire corsi di formazione. Ma accedervi non sarà semplice, dato che l’Isee non dovrà superare i 6mila euro. Tradotto, servirà essere ancora più poveri dei poveri ai quali verrà concesso l’Assegno di inclusione (che prevede una soglia di 9360 euro), grazie ai componenti fragili del nucleo familiare. Con il rischio che in migliaia di famiglie restino alla fine senza alcun sostegno da parte dello Stato. E che l’unica speranza sia trovare qualche lavoro, quasi una chimera.
Intanto c’è già chi ha detto addio al reddito, a meno di non venir poi presi in carico dai servizi sociali del proprio Comune, dopo la valutazione degli stessi. Se dovessero ritenere la persona “non attivabile al lavoro“, inseriranno i dati nella piattaforma GePI, cioè quella per la gestione dei Patti per l’inclusione sociale (lo strumento per l’attuazione delle attività di competenza dei Comuni rivolte ai beneficiari del reddito di cittadinanza). Eppure, “la presa in carico da parte dei servizi sociali non è prevista per quei nuclei che presentano solo bisogni di tipo lavorativo, i cui componenti in età attiva sono stati indirizzati ai Centri per l’impiego”, si avverte già nelle faq del ministero.