Ambiente & Veleni

No al saccheggio dei fondali: l’autorità dell’Onu non ha dato il via libera alle attività di estrazione in alto mare

Niente saccheggio dei mari per l’industria estrattiva. Almeno per ora, perché il Deep sea mining resta una minaccia. I negoziati dell’Autorità internazionale per i fondali marini dell’Onu (l’International Seabed Authority, Isa), l’organismo responsabile della conservazione dei fondali marini internazionali e della regolamentazione dell’estrazione mineraria, si sono conclusi, in Giamaica, senza alcun via libera alle estrazioni in alto mare. Non si è riusciti a raggiungere una decisione finale per i regolamenti minerari in acque profonde e, così, l’Isa ha annunciato che la questione verrà affrontata nuovamente nella prossima riunione di novembre e prevede di arrivare a una decisione finale nel 2025. La discussione ruota attorno al dilemma procedurale della “regola dei due anni” scattata nel 2021 in base alla quale, trascorsi due anni, tutte le domande di licenza per estrazione mineraria sarebbero dovute essere prese in considerazione per “approvazione provvisoria”. Solo che il Consiglio ISA non ha ancora concordato cosa intenda per approvazione provvisoria e dal 9 luglio 2023 la regola è scaduta lasciando il processo intorno all’estrazione mineraria nei fondali marini impantanato nell’incertezza giuridica.

La posizione dei governi – Dopo il nulla di fatto, mentre le compagnie interessate a trasformare i fondali marini in miniere di metalli rari tornano a casa con un nulla di fatto, sono 20 i governi che chiedono uno stop al deep sea mining. Le decisioni adottate dal Consiglio dell’ISA lo scorso 21 luglio, infatti, hanno mostrato che la maggior parte dei Paesi (tra cui Brasile, Costa Rica, Cile, Vanuatu, Germania e Svizzera) non ha ceduto alle pressioni dell’industria, sostenuta invece da nazioni come Norvegia, Nauru e Messico. La Cina, in particolare, si è opposta alla proposta dei governi dell’America Latina, del Pacifico e dell’Europa di dare più spazio al dibattito, facendo venire alla luce gli aspetti controversi delle estrazioni nei fondali marini. Secondo le associazioni ambientaliste, il segretariato dell’Isa, Michael W. Lodge, spesso accusato di essere troppo vicino all’industria, avrebbe adottato la strada delle restrizioni alla protesta pacifica e alla documentazione, limitando il lavoro dei media. La notizia del rinvio ha comunque avuto i suoi primi effetti: l’azienda leader nel settore, infatti, The Metals Company, ha visto il prezzo delle sue azioni crollare. Ma l’Isa non ha messo paletti sufficienti, né chiuso definitivamente la porta alle richieste dell’industria e questo potrebbe consentire alle aziende di iniziare l’attività estrattiva già il prossimo anno.

Il ruolo dell’opinione pubblica – “Grazie anche alla crescente mobilitazione dell’opinione pubblica, è chiaro che la maggior parte dei governi non è disposta a liberalizzare la distruzione degli oceani” commenta Louisa Casson, responsabile della campagna Oceani di Greenpeace International. E, in effetti, agli appelli dei popoli indigeni, si sono aggiunte le prese di posizione di 37 istituzioni finanziarie, di oltre 750 scienziati e dell’industria della pesca, che chiedono di fermare le attività. Greenpeace ritiene che per bloccare quest’industria distruttiva serva una moratoria che ponga al centro la protezione degli oceani e chiede che un numero maggiore di governi si esprima in favore della loro salvaguardia. “Gli scienziati stimano che sia ad oggi disponibile appena l’1,1% della conoscenza scientifica necessaria per redigere regolamenti sull’estrazione mineraria nei fondali marini, e anche i rischi sociali ed economici non sono chiaramente compresi” spiega il Wwf, che ha chiesto all’Italia un segnale chiaro. “L’estrazione mineraria nei fondali profondi contravviene agli impegni che il Governo italiano ha sottoscritto – ha ricordato la responsabile Mare del WWF Italia, Giulia Prato – tra cui gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, la Convenzione sulle specie migratorie, il recente quadro globale per la Biodiversità, e potrebbe addirittura mettere in pericolo il Trattato sull’Alto Mare. Ci auguriamo che l’Italia sia coerente con gli impegni assunti durante il Congresso IUCN del 2021, durante il quale il nostro paese ha appoggiato proprio la moratoria sull’estrazione mineraria sui fondali marini”.