di Stefano De Fazi

In questi giorni stiamo assistendo al primo stop per i percettori del reddito di cittadinanza. 169 mila famiglie con persone considerate occupabili lasciate con un Sms senza alcun sostentamento e una vaga promessa di presa in carico da parte dei servizi sociali, che già sappiamo non avere le risorse per gestire un numero tale di persone. In contemporanea si va definendo la delega fiscale in Senato la quale, tra le altre cose, prevede la cancellazione delle sanzioni per le imprese con un fatturato maggiore al miliardo di euro che aderiscano all’adempimento collaborativo. Inoltre, anche le persone con un reddito di almeno un milione di euro che riporteranno la residenza in Italia godranno di agevolazioni su sanzioni a loro carico.

Questi provvedimenti fanno parte di una più ampia ideologia marchio di fabbrica della destra italiana, che può essere riassunta nel seguente modo. Se sei ricco sei meritevole di supporto, perchè devi continuare a creare ricchezza per il paese. Poco importa se in passato hai evaso o hai spostato la tua residenza unicamente per fuggire al fisco italiano. Il mercato non sbaglia: se ti ha premiato con certi redditi da capogiro, sicuramente ha riconosciuto il tuo valore. Al contrario, se sei povero la colpa è tua e devi essere pronto a metterti a servizio della società in qualsiasi modo e l’eventuale aiuto da parte dello Stato non deve in alcun modo confliggere con le attività economiche del paese.

Un paese basato su questa ideologia può prosperare solo a due condizioni: la prima è che ci sia un’elevata mobilità sociale all’interno del paese, la seconda è che il cosiddetto trickle-down, ovvero l’ideologia secondo la quale i benefici economici concessi alle grandi imprese e agli individui più ricchi in qualche modo “sgocciolino” anche al resto della popolazione, funzioni veramente.

Per quanto riguarda il primo punto, l’ascensore sociale ha rallentato un po’ dovunque in questi ultimi decenni e l’Italia fa particolarmente male. Nel rapporto sulla mobilità sociale del 2020 del World economic forum si trova al 34° posto su 85 paesi inclusi, lontanissima dai paesi del nord Europa e al di sotto di Cipro, Lettonia, Polonia e Slovacchia. Per recuperare posizioni andrebbe risolto il problema dei bassi stipendi, aumentata la protezione sociale e andrebbero estese le opportunità di educazione e apprendimento alle persone più svantaggiate. Praticamente, andrebbe sconfessata l’ideologia che sta guidando l’azione attuale del governo.

Passando al secondo punto, semplicemente il trickle-down non ha mai funzionato da nessuna parte, come dimostrano gli studi sull’andamento della distribuzione di reddito e patrimonio che prendono in considerazione gli ultimi decenni. Come esempio piuttosto significativo possiamo citare il “Tax cuts and jobs act” americano, voluto da Trump nel 2017. Uno dei punti centrali della riforma è stato il passaggio della corporate tax (paragonabile alla nostra Ires) da una aliquota incrementale dal 15% al 39% ad un’unica aliquota del 21%. Chiaramente, le grandi aziende sono le beneficiarie principali in quanto hanno visto le proprie tasse ridursi drasticamente. L’obiettivo dichiarato era però un beneficio per una porzione della società molto più ampia. Questo non è accaduto e a certificarlo è il Joint Economic Comitee. Nel suo studio riporta che la crescita del Pil non ha avuto nessuna accelerazione rispetto al periodo precedente, gli investimenti delle società sono diminuiti e i tagli fiscali mettono al rischio il finanziamento di programmi sociali fondamentali per la classi medio e basse.

In sostanza, la visione dell’economia che guida attualmente il nostro governo si posa su fondamenta traballanti, smentite sia dalla situazione economica sociale italiana attuale, sia dall’andamento globale di questi ultimi decenni che ha portato a società sempre più disuguali. Il pericolo concreto è che l’azione pubblica peggiori una situazione già critica.

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