Politica

Strage di Bologna, Meloni come Fonzie: non riesce a dire che fu una bomba neofascista ma parla genericamente di “terrorismo”

Giorgia Meloni comincia a somigliare a Fonzie. L’indimenticabile personaggio della serie tv Happy Days non riusciva ad ammettere di aver sbagliato: non era proprio in grado di pronunciare la parola “scusa“. Non che la presidente del consiglio sia famosa per la sua grande capacità d’autocritica. La cosa che però proprio Meloni non riesce a fare è pronunciare la parola “fascismo” e le sue derivate, soprattutto se contengono il prefisso “anti“. Già in campagna elettorale aveva creato polemica il fatto che la leader di Fdi era spesso restia a dichiararsi antifascista. Una discussione che era continuata per il 25 aprile e che adesso ritrova nuovo vigore per il 43esimo anniversario della strage di Bologna.

Colpa del terrorismo. Quale? – La premier non ha partecipato alla celebrazioni nel capoluogo emiliano, ma si è limitata a inviare un messaggio in cui definisce la bomba alla stazione come uno dei “colpi più feroci” sferrati all’Italia dal “terrorismo“. Quale terrorismo? Quello rosso o nero? Quello internazionale? O forse quello di matrice religiosa? Meloni non lo dice, ma spiega che “giungere alla verità sulle stragi che hanno segnato l’Italia nel Dopoguerra passa anche dal mettere a disposizione della ricerca storica il più ampio patrimonio documentale e informativo”. Un auspicio condivisibile, anche se tra i tanti misteri della strategia della tensione in Italia la strage di Bologna è quella su cui sono state raggiunte le maggiori conferme giudiziarie. Per la bomba del 2 agosto, infatti, sono stati condannati in via definitiva Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini, esponenti dei i Nuclei armati rivoluzionari, formazione terroristica di estrema destra. Il Ciavardini stragista non è omonimo del Luigi Ciavardini fotografato insieme a Chiara Colosimo, deputata di Fdi, pupilla di Meloni e presidente della commissione Antimafia: è proprio lui.

I dribbling di Piantedosi e Salvini – Sono ancora al primo grado di giudizio, invece, le condanne di Gilberto Cavallini, un altro ex Nar, e Paolo Bellini, altro ex estremista di destra, che però militava in Avanguardia nazionale, il gruppo di Stefano Delle Chiaie. Insomma: per piazzare la bomba alla stazione si mossero esponenti dell’intera costellazione nera. E dunque accollare la strage di Bologna semplicemente al “terrorismo” è un’informazione incompleta e fuorviante. Ecco perchè Sergio Mattarella ci ha tenuto a parlare della “matrice neofascista“, che è stata “accertata nei processi e sono venute alla luce coperture e ignobili depistaggi, cui hanno partecipato associazioni segrete e agenti infedeli di apparati dello Stato”. Persino Ignazio La Russa, che da presidente del Senato è la seconda carica dello Stato, ha dovuto ricordare “la definitiva verità giudiziaria che ha attribuito alla matrice neofascista la responsabilità di questa strage”. Una locuzione – “matrice neofascista” – che invece non compare negli interventi dei principali esponenti del governo. Non la pronuncia Meloni e neanche Matteo Piantedosi, il più alto rappresentante dell’esecutivo inviato a Bologna per la commemorazione. Pure il ministro dell’Interno parla di generico “attentato terroristico“, senza specificare che si trattava di neofascisti. A rappresentare il governo Meloni alla cerimonia di commemorazione della strage c’era anche il viceministro Galeazzo Bignami – noto per la foto in cui da giovane era vestito da nazista – che però ha evitato di salire sul palco, rimanendo in posizione defilata. Ha evitato di parlare dei colpevoli anche Matteo Salvini, che su twitter si è limitato parlare di “violenza politica” senza specificare di che colore.

Il revisionismo nero – Insomma: gli esponenti principali del governo hanno deciso di ricordare la strage di Bologna diffondendo messaggi che possono alimentare ricostruzioni fasulle e quasi depistanti. E non solo perché nel nostro Paese anche i terroristi rossi si sono macchiati di omicidi efferati. Da sempre, infatti, alcuni esponenti di destra – in certi casi esponenti dello stesso partito di Meloni, come Federico Mollicone – hanno negato le responsabilità dei neri per la strage del 2 agosto, puntando su una inconsistente “pista palestinese“. In estrema sintesi la ricostruzione è questa: a piazzare la bomba alla stazione sarebbero stati i guerriglieri del Fronte popolare per la liberazione della Palestina, per vendicarsi dell’arresto di un loro militante, Abu Saleh, che era stato fermato proprio a Bologna il 13 novembre 1979. Questa pista, però, è definitivamente smentita sulla base di numerosi documenti declassificati negli ultimi anni. Continuare a parlare di palestinesi per Bologna, dunque, è un depistaggio visto che i colpevoli sono tutti esponenti dell’estrema destra: una verità che è giuridicamente accertata.

Quello che non sappiamo – Meloni ha evitato di specificare la provenienza politica degli assassini. Poi, però, ha detto che bisogna “giungere alla verità sulle stragi“. Quello che dobbiamo ancora capire su Bologna sono le fasi precedenti e successive all’esplosione della bomba. Le ultimi indagini della procura generale hanno tentato di dare un volto a mandanti e depistatori, che però sono tutti morti e dunque impossibili da processare. Secondo i magistrati a finanziare l’attività dei neofascisti fu Licio Gelli, maestro venerabile della loggia P2, che usò cinque milioni di dollari sottratti a Roberto Calvi, il presidente del Banco Ambrosiano, trovato impiccato sotto al ponte dei Frati neri a Londra, un anno prima della strage di Bologna. Sulla bomba alla stazione la P2 si occupò anche di depistare le indagini, grazie a Federico Umberto D’Amato, il famigerato capo dell’Ufficio affari riservati del Viminale, ex agente anglo americano, regista delle principali trame occulte italiane. Nelle carte dell’inchiesta i magistrati fanno pure il nome di Mario Tedeschi, senatore del Msi, direttore del settimanale Il Borghese, pure lui iscritto alla P2: se fosse stato ancora vivo sarebbe stato accusato di aver “coadiuvato D’Amato nella gestione mediatica dell’evento e nell’attività di depistaggio delle indagini”. Perché un senatore del Movimento sociale, il partito antenato di Fdi che è sempre stato all’opposizione, si era iscritto alla P2? Perché avrebbe collaborato coi servizi e con la massoneria per depistare le indagini su Bologna? E per quale scopo sono state spazzate via le vite di 85 persone innocenti? Chissà se Giorgia Meloni si pone queste domande.