Il governo modifica la legge 185 del 1990 sull’import-export di armamenti e, di fatto, propone di rimettere nelle mani della politica, e non più di un’agenzia indipendente, le decisioni riguardanti i criteri per il commercio di armamenti. L’intenzione, esplicitata ormai da tempo e concretizzatasi già con la proposta di riforma, la scorsa settimana, dell’agenzia incaricata dei controlli, l’Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento (Uama), è adesso nero su bianco ed è stata approvata nel corso del Consiglio dei ministri di giovedì sera.
Viene così rispolverato il vecchio Comitato interministeriale per gli scambi di materiali di armamento per la difesa (Cisd) abolito nel 1993, tre anni dopo l’entrata in vigore della legge 185. Lo scopo, all’epoca, era rendere il processo decisionale apolitico, con dei funzionari specializzati che, invece, valutano il rispetto delle norme in vigore delle singole richieste di autorizzazione. Con i cambiamenti proposti dal governo, invece, la decisione torna di fatto in mano alla maggioranza: il comitato sarà infatti presieduto dalla Presidenza del Consiglio e composto dai ministri degli Esteri, dell’Interno, della Difesa, dell’Economia e del Made in Italy. Saranno loro, in caso di approvazione del disegno di legge, a formulare gli indirizzi generali per l’applicazione della legge 185 e delle politiche di scambio nel settore della Difesa. L’obiettivo, dicono, è quello di velocizzare gli iter ed evitare che le richieste d’autorizzazione si perdano in cavilli burocratici, oltre a conferire una chiara responsabilità politica alle decisioni prese. Responsabilità che, in realtà, c’era già, dato che il compito della Uama era proprio quello di rispondere a tali indirizzi in materia di import-export limitandosi a garantire il rispetto delle leggi in vigore.
Non è infatti d’accordo con questa lettura Francesco Vignarca, coordinatore delle campagne di Rete Italiana Pace e Disarmo: “È preoccupante questa ipotesi del governo perché va a concretizzare delle modifiche alla legge 185 che vengono paventate da tempo, ma non nella direzione giusta, ossia quella di maggiori controlli e allineamento alla posizione comune europea e al Trattato sul commercio delle armi del 2013, ma vanno appunto verso una liberalizzazione. Le motivazioni addotte sono del tutto risibili. Si dice ad esempio che il comparto della Difesa sia basilare per l’economia dell’Italia, quando invece ha un fatturato inferiore all’1% del Pil, oppure dicendo che si devono velocizzare le autorizzazioni. No, le autorizzazioni vanno rilasciate nei termini giusti e facendo tutte le valutazioni del caso, non è una questione di velocità. Inoltre l’export militare sta crescendo negli ultimi anni, quindi non si capisce che tipo di lamentele possano avanzare le industrie che vedono riconosciute sempre più autorizzazioni, tenendo conto che l’unico blocco stabilito sulle bombe all’Arabia Saudita e agli Emirati è finito. Inoltre, sta circolando l’informazione che il 70% del fatturato dell’industria delle armi derivi dall’export, il che vorrebbe dire circa 12 miliardi sui 17 totali, ma in realtà i dati ci dicono che è sui 3 miliardi. Sono tutte motivazioni che cercano semplicemente di reintrodurre questo comitato che c’era all’inizio della legge 185/1990 solo per evitare che ci sia qualcuno che controlli veramente quelle che sono le attinenze con i criteri stabiliti per le esportazioni”.
Così la Uama non sarà più chiamata a valutare nello specifico le singole autorizzazioni e il loro rispetto delle leggi in vigore, ma semplicemente a rilasciare le dovute documentazioni e supervisionare l’applicazione amministrativa delle misure. La responsabilità passa quindi dal ministro plenipotenziario che guida la Uama direttamente all’esecutivo. “Mi fa ridere l’idea che questa modifica possa portare a una velocizzazione delle procedure – ribatte Vignarca – Al momento c’è un funzionario, ossia il capo dell’agenzia Uama, che valuta caso per caso in base alle leggi, mentre il nuovo comitato sarebbe presieduto dalla Presidenza del Consiglio. Quante volte mai si potrà riunire? E quanto potrà essere considerata valida un’approvazione se, casomai, le situazioni in un dato Paese dovessero cambiare, come abbiamo visto in tutti questi anni? Prendiamo l’esempio del Niger. Un mese fa il comitato avrebbe dato l’ok all’export perché era un Paese partner nel quale abbiamo anche missioni militari, ma dopo il golpe che facciamo, riconvochiamo il comitato? Ha più senso che ci sia un’autorità nazionale che decida rapidamente per avere maggiore consistenza nelle valutazioni”.
La richiesta di Rete Italiana Pace e Disarmo, inoltre, è che andando a modificare la legge 185 del 1990 si recepiscano anche le norme previste dai trattati internazionali in materia ai quali, proprio per l’esistenza pregressa di una legge ad hoc, l’Italia non si è perfettamente allineata: “Se ratificano la legge mi aspetto che le modifiche riguardino anche l’allineamento al Trattato internazionale sul commercio di armi già ratificato dall’Italia. In quell’occasione il Parlamento disse che non doveva essere implementato perché i criteri erano già contenuti nella legge. Se questa però viene toccata le modifiche non possono limitarsi solo all’istituzione di vecchi comitati e cambi nelle procedure, ma inserire anche i criteri del trattato che sono più stringenti di quelli della 185. Ad esempio, il Trattato dice che non si può esportare quando c’è un rischio che queste armi siano usate per commettere violazioni dei diritti umani, mentre la legge 185 si limita a chiederlo quando ci sono casi accertati“.