In Iran, mentre la polizia morale torna a presidiare le strade per punire le donne che non indossano correttamente il velo, la vita sessuale di funzionari e Mullah viene messa a nudo grazie ad una fuga di informazioni che sta provocando imbarazzo alle autorità iraniane e rabbia da parte di chi ne subisce il regime. Il primo caso vede al centro Reza Tsaghati, membro del ministero della Cultura e dell’orientamento islamico che si occupava di far rispettare i valori islamici tenendo incontri su “l’hijab e la castità”. Pochi giorni fa Radio Gilan, un canale Telegram appartenente all’opposizione presente in Germania, pubblica un video che lo mostra mentre ha rapporti sessuali con un altro uomo. Migliaia di persone lo condividono e Tsaghati viene sospeso dall’incarico dal proprio dipartimento, che accusa chi ha diffuso il video di voler “indebolire l’onorevole fronte culturale della Rivoluzione islamica”. Il caso, aggiungono dal ministero, è in mano alle autorità giudiziarie e si sospetta un “passo falso del direttore dell’orientamento islamico”.
Un caso praticamente identico è scoppiato una manciata di giorni prima relativamente ad un Mullah dello stesso ufficio, Mehdi Haghshenas. Il suo nome è noto a molti perché fu lui a presiedere alla condanna di Vida Movahed, una delle prime attiviste che nel 2017 protestò contro il velo obbligatorio. Il caso di Mehdi è stato trattato con più discrezione dalle autorità, che hanno cercato di farlo cadere nel vuoto evitando dichiarazioni. Ma la società iraniana è colta da un sussulto di rabbia nei confronti di un regime che impone nel Paese leggi contro l’omosessualità tra le più dure al mondo, contemplando anche la pena di morte nei casi di manifestazioni “più esplicite”.
“Questi casi devono servire a denunciare l’ipocrisia del sistema, che reprime ogni libertà e impone con la forza la sua presunta morale, e a far fare un passo avanti sui diritti Lgbt+ in Iran”, dice a La Repubblica un attivista iraniano residente in Europa. Mentre la stretta autoritaria del regime continua a mostrare il suo volto più duro, a partire dal caso di Mahsa Amini dello scorso settembre la società iraniana si è mobilitata di una serie di proteste che non hanno precedenti negli ultimi anni, divenendo protagonista di una crescente domanda di democratizzazione che non accenna a trovare aperture da parte delle autorità.