Sono 63 gli anni trascorsi dalla dichiarazione dell’indipendenza del Niger dalla potenza coloniale francese. Questo giorno, il 3 agosto, col trascorrere del tempo, è diventato rituale piantare un albero nella sabbia del Sahel. Sarà presumibilmente diverso quest’oggi, visto il contesto politico che vive il Paese, sospeso com’è alla crisi creatasi dopo l’intervento dei militari che hanno operato un golpe. Il presidente eletto è agli arresti, con la famiglia e altri ministri, nella casa presidenziale e non potrà, ovviamente, onorare il gesto simbolico dell’albero nella ricorrenza citata. Anche i comuni cittadini, preoccupati dal contesto regionale con la minaccia di un intervento armato per il ritorno alla ‘legalità costituzionale’ e dalla crescita esponenziale del prezzo del pane quotidiano, non penseranno agli alberi da piantare in giro.
Anche perché l’albero dell’indipendenza è diverso da tutti gli altri. Dal giardino dell’Eden, situato forse nella mitica Mesopotamia si passa agli alberi delle foreste e poi a quelli delle savane. Senza apparente continuità si passa poi ai diradati alberi del deserto, anzi: all’albero del deserto. In effetti l’albero del Ténéré, parola che significa deserto nella lingua dei tuareg, il tamasheq, era l’unico albero in un’area di circa 400 000 mila kilometri quadrati. Si tratta di un’acacia che, isolata dalle altre, ha sopravissuto alla solitudine per secoli fino allo scontro fatale del 1973. Un camionista, durante una manovra, l’ha investita e sradicata. I resti dell’albero si trovano attualmente nel museo nazionale di Niamey. Era l’ultimo albero del deserto e punto di riferimento per le carovane, i camion e i migranti in cammino verso la Libia o il grande Sud.
L’anniversario e l’altra festa dell’indipendenza di quest’anno fanno pensare a quest’ultimo albero del deserto deposto nel museo della capitale, tra oggetti d’arte, artigiani e animali dello zoo. Era l’unica acacia del Ténéré, orientamento stabile per i viaggiatori e i commercianti, abbattuta da un camion di passaggio. C’è chi giura di aver visto, all’albeggiare di questo giorno, alcune foglie spuntare dall’albero.
Niamey, 3 agosto 2023, festa dell’indipendenza
Mauro Armanino
Missionario, dottore in antropologia culturale ed etnologia
Mondo - 3 Agosto 2023
La festa di indipendenza del Niger nei giorni del golpe e quell’ultimo albero del deserto
Sono 63 gli anni trascorsi dalla dichiarazione dell’indipendenza del Niger dalla potenza coloniale francese. Questo giorno, il 3 agosto, col trascorrere del tempo, è diventato rituale piantare un albero nella sabbia del Sahel. Sarà presumibilmente diverso quest’oggi, visto il contesto politico che vive il Paese, sospeso com’è alla crisi creatasi dopo l’intervento dei militari che hanno operato un golpe. Il presidente eletto è agli arresti, con la famiglia e altri ministri, nella casa presidenziale e non potrà, ovviamente, onorare il gesto simbolico dell’albero nella ricorrenza citata. Anche i comuni cittadini, preoccupati dal contesto regionale con la minaccia di un intervento armato per il ritorno alla ‘legalità costituzionale’ e dalla crescita esponenziale del prezzo del pane quotidiano, non penseranno agli alberi da piantare in giro.
Anche perché l’albero dell’indipendenza è diverso da tutti gli altri. Dal giardino dell’Eden, situato forse nella mitica Mesopotamia si passa agli alberi delle foreste e poi a quelli delle savane. Senza apparente continuità si passa poi ai diradati alberi del deserto, anzi: all’albero del deserto. In effetti l’albero del Ténéré, parola che significa deserto nella lingua dei tuareg, il tamasheq, era l’unico albero in un’area di circa 400 000 mila kilometri quadrati. Si tratta di un’acacia che, isolata dalle altre, ha sopravissuto alla solitudine per secoli fino allo scontro fatale del 1973. Un camionista, durante una manovra, l’ha investita e sradicata. I resti dell’albero si trovano attualmente nel museo nazionale di Niamey. Era l’ultimo albero del deserto e punto di riferimento per le carovane, i camion e i migranti in cammino verso la Libia o il grande Sud.
L’anniversario e l’altra festa dell’indipendenza di quest’anno fanno pensare a quest’ultimo albero del deserto deposto nel museo della capitale, tra oggetti d’arte, artigiani e animali dello zoo. Era l’unica acacia del Ténéré, orientamento stabile per i viaggiatori e i commercianti, abbattuta da un camion di passaggio. C’è chi giura di aver visto, all’albeggiare di questo giorno, alcune foglie spuntare dall’albero.
Niamey, 3 agosto 2023, festa dell’indipendenza
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Roma, 2 gen. (Adnkronos) - "È quello che abbiamo chiesto. Ma capire è una parola inutile. Io non capisco niente e chi ci capisce è bravo. Si chiede, si fa e si combatte per ottenere rispetto. Capire no, mi spiace. Magari, capire qualcosa mi piacerebbe". Lo dice Elisabetta Vernoni, madre di Cecilia Sala, dopo l'incontro con la premier Giorgia Meloni a palazzo Chigi ai cronisti che le chiedono se la giornalista potrà avere altre visite da parte dell'ambasciata.
Roma, 2 gen. (Adnkronos) - Nella telefonata di ieri "avrei preferito notizie più rassicuranti da parte sua e invece le domande che ho fatto... glielo ho chiesto io, non me lo stava dicendo, le ho chiesto se ha un cuscino pulito su cui appoggiare la testa e mi ha detto 'mamma, non ho un cuscino, né un materasso'". Lo dice Elisabetta Vernoni, madre di Cecilia Sala, dopo l'incontro con la premier Giorgia Meloni a palazzo Chigi.
Roma, 2 gen. (Adnkronos) - "No, dopo ieri nessun'altra telefonata". Lo dice Elisabetta Vernoni, madre di Cecilia Sala, ai cronisti dopo l'incontro a palazzo Chigi con la premier Giorgia Meloni. "Le telefonate non sono frequenti. E' stata la seconda dopo la prima in cui mi ha detto che era stata arrestata, poi c'è stato l'incontro con l'ambasciatrice, ieri è stato proprio un regalo inaspettato. Arrivano così inaspettate" le telefonate "quando vogliono loro. Quindi io sono lì solo ad aspettare".
Roma, 2 gen. (Adnkronos) - "Questo incontro mi ha fatto bene, mi ha aiutato, avevo bisogno di guardarsi negli occhi, anche tra mamme, su cose di questo genere...". Lo dice Elisabetta Vernoni, madre di Cecilia Sala, lasciando palazzo Chigi dopo l'incontro con la premier Giorgia Meloni.
Roma, 2 gen. (Adnkronos) - "Cerca di essere un soldato Cecilia, cerco di esserlo io. Però le condizioni carcerarie per una ragazza di 29 anni, che non ha compiuto nulla, devono essere quelle che non la possano segnare per tutta la vita". Lo dice Elisabetta Vernoni, madre di Cecilia Sala, dopo l'incontro con la premier Giorgia Meloni a palazzo Chigi.
"Poi se pensiamo a giorni o altro... io rispetto i tempi che mi diranno, ma le condizioni devono essere quelle di non segnare una ragazza che è solo un'eccellenza italiana, non lo sono solo il vino e i cotechini". Le hanno detto qualcosa sui tempi? "Qualche cosa - ha risposto -, ma cose molto generiche, su cui adesso certo attendo notizie più precise".
Roma, 2 gen. (Adnkronos) - "La prima cosa sono condizioni più dignitose di vita carceraria e poi decisioni importanti e di forza del nostro Paese per ragionare sul rientro in Italia, di cui io non piango, non frigno e non chiedo tempi, perché sono realtà molto particolari". Lo ha detto Elisabetta Vernoni, mamma di Cecilia Sala, dopo l'incontro a palazzo Chigi con la premier Giorgia Meloni.
Roma, 2 gen. (Adnkronos) - "Adesso, assolutamente, le condizioni carcerarie di mia figlia". Lo dice Elisabetta Vernoni, madre di Cecilia Sala, dopo l'incontro con la premier Giorgia Meloni a palazzo Chigi ai cronisti che le chiedono quali siano le sua maggiori preoccupazioni. "Lì non esistono le celle singole, esistono le celle di detenzione per i detenuti comuni e poi le celle di punizione, diciamo, e lei è in una di queste evidentemente: se uno dorme per terra, fa pensare che sia così...".