Le operazioni di ricerca e salvataggio nel mar Mediterraneo non incentivano le partenze di migranti dalle coste del Nord Africa verso l’Europa e, più in generale, non favoriscono l’immigrazione clandestina. Non lo si legge non nel comunicato di una Ong, bensì in uno studio pubblicato su Scientific Reports (Nature) da un gruppo di ricerca internazionale guidato da Alejandra Rodríguez Sánchez dell’Università di Potsdam e coordinato dallo statistico italiano Stefano Maria Iacus all’Università di Harvard.

Per giungere a queste conclusioni e smentire la tesi della connessione fra immigrazione clandestina e salvataggi in mare, i ricercatori hanno elaborato dei modelli che descrivono la variazione del numero di tentativi di attraversamento del Mediterraneo centrale in un periodo compreso fra il 2011 e il 2020, utilizzando dati di Frontex, della guardia costiera tunisina e libica e dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni e dal network europeo United for Intercultural Action riguardanti il numero di partenze.

La documentazione utilizzata forniva informazioni riguardanti il numero di partenze, le barche riportate in Tunisia e Libia e le morti di migranti documentate. Tramite una serie di simulazioni, il gruppo di ricerca ha poi cercato di individuare gli elementi in grado di prevedere al meglio le variazioni quantitative dei tentativi di attraversamento del mare. L’attenzione è stata posta in particolare sul numero di operazioni di ricerca e salvataggio statali e private, i tassi di cambio delle valute, i prezzi delle materie prime internazionali, i tassi di disoccupazione, i conflitti, la violenza, il flusso del traffico aereo tra i paesi africani, mediorientali ed europei e le condizioni meteorologiche e, dai risultati ottenuti, si è evinto che la variazione del numero di traversate non dipende affatto dall’attività ricerca e dai salvataggi in mare, bensì da altri fattori specifici come meteo, conflitti che si intensificano, aumento dei prezzi delle materie prime e disastri naturali. In particolare è risultato che il coinvolgimento della guardia costiera libica nell’intercettazione e nel rimpatrio delle imbarcazioni dopo il 2017, ha determinato una riduzione dei tentativi di attraversamento e potrebbe aver scoraggiato quindi la migrazione, facendo peggiorare le condizioni di rispetto dei diritti umani degli stessi migranti in Libia nel corso dei rimpatri e del trattenimento forzato nei centri di detenzioni libici.

“Nonostante l’alta posta in gioco e la natura etica dell’affermazione del “fattore di attrazione” per le attività di ricerca e soccorso.. – scrivono i ricercatori nella loro analisi – le prove empiriche a favore dell’affermazione del “fattore di attrazione” sono scarse e metodologicamente compromesse. I lavori esistenti ignorano l’autocorrelazione seriale, le tendenze e la stagionalità nei dati delle serie temporali dei flussi migratori utilizzati per valutare l’affermazione del “fattore di attrazione”, e per questo motivo i risultati si basano su analisi statistiche non adatte…. Inoltre, la maggior parte degli studi ha esaminato solo le associazioni statistiche tra gli arrivi o i tentativi di attraversamento e le ricerche e i salvataggi in diversi periodi senza un’adeguata strategia di identificazione causale. Ad esempio, gli studi confrontano il numero di tentativi di attraversamento in periodi con diversi livelli di capacità di ricerca e salvataggio (ad esempio, alta o bassa). I risultati di questi studi suggeriscono che le operazioni di ricerca e salvataggio condotte dallo Stato e dai privati non coincidono con l’aumento dei tentativi di attraversamento. In genere, le operazioni di ricerca e salvataggio sono avvenute dopo che sono stati osservati aumenti del flusso migratorio, rendendo le operazioni di salvataggio l’effetto e non la causa dell’aumento iniziale, compromettendo così qualsiasi affermazione causale”.

Lo studio

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