È finita la stagione delle “grandi dimissioni”. Quel fenomeno innescatosi durante la pandemia per cui il numero di persone che sceglievano di lasciare il posto di lavoro era cresciuto significativamente. Negli Stati Uniti, soprattutto, ma non solo. Molte parole sono state spese per cercare di capire la ragione di questa fuga di massa dalla routine occupazionale. Il premio Nobel per l’Economia Paul Krugman New York Times ha scritto: “Alcuni hanno realizzato che i soldi che ricevevano per lavori poco piacevoli semplicemente non erano sufficienti. Ora non vogliono tornare alla loro vecchia occupazione se non a fronte di un aumento di stipendio sostanziale e/o condizioni di lavoro migliori”. Qualcuno si è spinto più in là, ipotizzando la “fine della docilità della forza lavoro che ora rifiuta lo sfruttamento”. Sta di fatto che secondo gli ultimi dati questa “rivoluzione” sembra esaurita. Nel settore privato il tasso di licenziamenti volontari si è attestato lo scorso giugno al 2,4%, lo stesso valore di luglio 2019, dopo essere stati intorno ed oltre il 3% per circa un anno.
Nella sola manifattura le dimissioni sono state 249mila, ancora sopra i livelli pre Covid ma in deciso calo (339mila nel marzo del 2022). Può essere che nel frattempo i lavoratori siano effettivamente riusciti ad ottenere condizioni giudicati soddisfacenti per restare occupati. I propositi maturati durante i lockdown potrebbero essere stati almeno in parte realizzati. La paga media oraria nel settore privato, non l’unico elemento da valutare ma tra i più importanti, registra un incremento dai 29,3 dollari l’ora del luglio 2020 agli attuali 33,6 dollari (+ 14%). Un aumento che si ridimensiona molto se si tiene conto del generalizzato aumento dei prezzi fotografato dall’inflazione. Alle aziende che negli ultimi anni lamentavano la difficoltà nel reperire personale, il presidente americano Joe Biden aveva replicato “Pay them more”, pagateli di più. Il tasso di disoccupazione è al 3,6%, su livelli storicamente molto bassi. Il livello di nuove assunzioni (5,5 milioni in giugno nel settore privato) è alto ma in calo. Mentre i licenziamenti per decisione del datore di lavoro restano leggermente sotto al livello pre Covid (1,4 milioni).