I cancelli sono chiusi col lucchetto e dove non ci sono i cancelli, i nastri rosso e bianco penzolano a mezz’aria. La polizia locale, in auto, fa avanti e indietro per controllare che nessuno entri. Tutti i parchi della città sono sbarrati – chi più chi meno – fino al 31 agosto su ordinanza del sindaco. Così i turisti circumnavigano il Castello Sforzesco, e mentre lo fanno scattano foto agli alberi stesi a terra. Intorno al parco Indro Montanelli c’è chi corre tra via Manin e i bastioni di Porta Venezia; dentro, intanto, gli operai segano le piante. La notte del 25 luglio la furia del nubifragio – con raffiche di vento fino a 130 chilometri orari – ha catapultato certe zone di Milano in uno scenario da film post apocalittico: ponteggi accartocciati su se stessi, alberi schiantati al suolo o sopra le auto parcheggiate, tetti divelti e tegole lungo le strade. Il sindaco Beppe Sala ha fatto la stima dei danni: 50 milioni di euro e 5mila piante cadute (sulle oltre 450mila presenti). Ma al di là di ciò che è stato, la questione che si fa pressante è la seguente: premesso che i fenomeni estremi, a causa della crisi climatica, saranno da qui in avanti più probabili (per non dire più frequenti), cosa devono fare le città – Milano, in questo caso – per ridurre il rischio di nuovi disastri? L’amministrazione si sta muovendo, sì, ma per gli esperti il lavoro da fare è gigantesco: “Scontiamo una pluridecennale cattiva gestione del verde pubblico, gli alberi andrebbero sostituiti“. Ma c’è un dato esemplificativo, su tutti, che fa comprendere come stanno andando le cose: delle 35.632 piante messe a terra dal Comune nella stagione 2021-2022, il 25% è morto (9.099).
IL PRESENTE – Per chi resta in città ad agosto, e pensiamo specialmente agli anziani e alle fasce più deboli, non avere accesso al verde è un bel guaio. I benefici che garantiscono i parchi sono tanti: da quelli più immediati, come il refrigerio contro la calura estiva, fino a quelli sul lungo periodo, come la protezione contro le malattie respiratorie e la riduzione dello smog. Il danno, se vogliamo, va anche all’immagine di Milano: migliaia di turisti si trovano a vivere in una città “azzoppata”. E se da un lato sono comprensibili le proteste di chi storce il naso per la chiusura di 45 giorni delle aree verdi, va detto che Milano non è il centro del mondo: i danni dei temporali di luglio – stimati dall’Arpa Lombardia in 1,65 miliardi di euro – hanno interessato tutta la regione. In altre parole: operai, Protezione civile e giardinieri sono impegnati (anche) altrove.
Ma non solo (ed è il punto più importante): attualmente ci sono decine e decine di alberi pericolanti, che potrebbero cadere, e sui quali gli esperti – agronomi e dottori forestali – devono fare le verifiche necessarie. “La chiusura dei parchi è una precauzione più che giusta – commenta Matteo Zanini, dottore agronomo ed esperto in progettazione e gestione del verde urbano – ci sono piante danneggiate, a rischio, che vanno monitorate. Bisogna controllarle una a una, verificarne la stabilità, e questo richiede del tempo. Tanto più se si pensa che il personale è quello che è, anche chiamandolo da fuori città”.
IL FUTURO IMMINENTE – Il rischio di eventi climatici estremi è sotto gli occhi di tutti e “ciò ci impone di progettare la città in un modo che non è stato mai considerato finora” dice Francesca Cucchiara, consigliera comunale e portavoce dei giovani di Europa verde, “e cioè integrare la valutazione di questo rischio in tutte le decisioni che si prenderanno da qui in avanti”. Il primo passo? “Sarebbe opportuno che il Consiglio comunale istituisse una commissione ad hoc sull’adattamento climatico“. E poi: “Evitare la cementificazione senza freni, garantire spazi sufficientemente grandi per la piantumazione, scegliere le piante migliori, sviluppare sistemi di allarme per i cittadini via sms e realizzare il programa città 30, che non riguarda solo il limite di velocità”. La riduzione della velocità, infatti, si accompagnerebbe anche “alle pedonalizzazioni e alle piazze tattiche”.
Per l’agronomo Zanini una delle soluzioni più efficaci per scongiurare il ripetersi di calamità simili a quella dello scorso 25 luglio sarebbe sostituire, nel tempo, le piante vecchie con quelle giovani (più nel dettaglio: rimpiazzare principalmente i filari urbani preservando gli esemplari storici e monumentali). Oltre, come è ovvio, a richiedere tempo, tale pratica presuppone un certo tipo di manutenzione del verde. “Le piante che vediamo tutti i giorni – spiega – vengono da decenni di maltrattamenti: capitozzatura, taglio dell’apparato radicale, asfalto e cemento che arrivano alla base del fusto e soffocano l’albero. Lo spazio di espansione dovrebbe essere significativo e invece vengono messe a dimora piante di dimensioni considerevoli in spazi ristretti. È un problema che va avanti da decenni in tutta Italia. A differenza di ciò che succede in molti Paesi europei, da noi si tende a mantenere gli alberi all’infinito, finché non cascano. Molti di quelli che abbiamo sono già compromessi. Cosa si può fare ora? Vanno destinati più fondi al verde, che viene sempre visto come una spesa, quando invece è un beneficio, anche economico”.
Ma c’è un dato che preoccupa. “L’anno scorso in città sono morti 14mila alberi ma la siccità, a dispetto di quello che viene detto, non c’entra nulla” ragiona Carlo Monguzzi, consigliere comunale dei Verdi. “Milano ha una falda che è rigonfia. Ogni anno pompiamo 60mila metri cubi di acqua per non allagare i garage e la metropolitana M2. Il problema è che gli alberi non vengono curati“. Che dieci giorni fa siano caduti 5mila alberi per Monguzzi “è una fortuna. Dal 2003 il Comune interviene su quelli malati e pericolanti, ma questo controllo, stando agli agronomi, è venuto meno nel corso del tempo, un po’ per disattenzione politica e un po’ perché la società AVR spa è un disastro”.
LA RISPOSTA DEL COMUNE – Intanto l’amministrazione comunale ha dato una prima risposta: il capitolato d’appalto per la manutenzione del verde è stato modificato con l’indicazione secondo cui dovranno essere piantati alberi più resistenti alle intemperie (per fare un esempio, il pioppo nei viali è sconsigliato, tigli e bagolari, al contrario, sono più robusti) e che dovranno essere valutate le aree dove piantumare alberi di prima, seconda e terza grandezza. “Ma è il paradigma che va cambiato” commenta Monguzzi, “l’albero non va più considerato come un ospite, come un soprammobile, ma come il protagonista delle nostre città. Se faccio un lavoro, un qualsiasi lavoro, la precondizione è la tutela e la salute degli alberi”.
Il caso recente più esemplificativo è quello del glicine di Porta Volta – che il Comune voleva tagliare per completare il progetto iniziato con la piramide di Herzog e De Meuron – salvato da una grande mobilitazione cittadina. “L’attuale amministrazione? Non so se abbia la sensibilità necessaria per invertire la rotta. Io vedo i fatti. Nel piano Aria Clima è stato scritto che non va consumato altro suolo, ma si sta facendo il contrario – continua Monguzzi – ci sono 180 piani attuativi, sullo stadio Meazza, a San Siro, è in corso un braccio di ferro, le strade vengono asfaltate, San Babila è stata ‘recuperata’ e ora è un’isola di calore“. Intanto, però, a fronte del progetto ForestaMi (che prevede la messa a dimora nella città metropolitana di tre milioni di alberi in dieci anni, cioè 300mila all’anno) il Comune – per bocca degli assessori Elena Grandi, Marco Granelli e Emmanuel Conte – ha deciso di avviare una raccolta fondi per sostituire i 5mila caduti dopo lo scorso nubifragio. Perché “Milano è stata colpita duramente come mai era successo prima” e “chiediamo aiuto alla generosità dei cittadini che già si sono proposti per dare una mano”. Cinquemila alberi contro i 300mila che andrebbero piantati ogni anno. C’è qualcosa che non torna?
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