Siamo in piena crisi climatica, con pezzi d’Italia ancora in ginocchio per alluvioni, incendi, grandinate ed eventi meteo estremi che si ripetono con preoccupante regolarità, mentre ci lasciamo alle spalle il luglio più caldo di sempre. E il governo Meloni che fa? Vuole cancellare 14,8 miliardi di euro del Pnrr destinati a finanziare progetti per la tutela dell’ambiente e contro la crisi climatica.
Per la maggior parte si tratta di fondi da impiegare in progetti per l’efficienza energetica (per ridurre il consumo di energia e relative emissioni inquinanti) e per la rigenerazione urbana. Con la follia suprema di tagliare 1,3 miliardi destinati al contrasto al dissesto idrogeologico (che ne penseranno in Romagna?) e altre risorse per la realizzazione di impianti eolici e fotovoltaici galleggianti. Colpo di spugna anche sui fondi per la valorizzazione dei beni confiscati alle mafie.
Tutto questo mi sembra assurdo se penso alle frane e alle drammatiche situazioni in cui vivono migliaia di persone nel nostro paese. I numeri li ha dati Erasmo D’Angelis, già responsabile di Italia Sicura, in un recente convegno che ho organizzato sulla Romagna post alluvione e sulla necessità di non ripetere gli errori del passato: delle oltre 750 mila frane attive in Europa, 628 mila sono in Italia e di queste 78 mila sono in Emilia-Romagna (metà attive, metà quiescenti). Ma mentre la premier annuncia un piano contro il dissesto idrogeologico, il suo ministro Fitto smonta la parte di Pnrr per la messa in sicurezza del territorio. Inevitabile domandarsi: si parlano Meloni e Fitto? Qualcuno giri alla premier il numero di telefono di Fitto.
Ma oltre la rilevantissima questione di merito, c’è anche un tema di metodo che, in politica, è sostanza: questo orientamento del governo sul Pnrr non tiene in alcun conto il lavoro di altre amministrazioni che contavano su quei fondi per la realizzazione di progetti e che ora si troveranno con nulla in mano dopo aver investito tempo, energie e risorse in progettazioni esecutive.
Un esempio? Cito l’Emilia-Romagna, la mia regione: il governo taglia quasi 23 milioni di euro del Pnrr su 44,7 milioni totali per i tracciati emiliano-romagnoli delle ciclovie Sole, Vento e Adriatica. In particolare, la rimodulazione del Pnrr prevede per la Sole un taglio di 8 milioni 750 mila euro su un totale di oltre 18 milioni, per la Vento di 7,8 milioni di euro su un totale di più di 15 milioni (15.810.700) e per l’Adriatica un taglio di 6 milioni 250 mila euro su 10 milioni 750 mila euro. Nella mia attività di capogruppo di Europa Verde in Assemblea legislativa Emilia-Romagna più volte ho sollecitato la giunta regionale a investire nella mobilità dolce, nelle ciclovie e nel completamento delle tratte mancanti per collegare le varie ciclabili. Non sfugge a nessuno l’evidente positiva ricaduta ambientale in termini di riduzione di emissioni della mobilità ciclabile, ma non deve nemmeno sfuggirci il grande ritorno economico generato dal cicloturismo, una grande opportunità per i territori interni e montani svantaggiati e per quelli esclusi dal turismo dei grandi numeri.
Questo governo sta facendo il contrario di quello che una classe dirigente seria farebbe: investire sul futuro, sul contrasto ai cambiamenti climatici e sulla mitigazione dei suoi effetti, sull’uscita dalle fonti fossili, sulla mobilità dolce. Per non parlare dei “ministri non so”, che ancora esternano dubbi sull’origine antropica dei cambiamenti climatici… Non ci sono più parole per commentare. Se non quelle angosciate di una ragazzina che al Festival Giffoni, nell’incontro con il ministro all’Ambiente Pichetto Fratin, è scoppiata in lacrime dicendo di soffrire di ecoansia e di non vedere un futuro per lei.
Eppure basterebbe studiare per capire una cosa molto semplice: costa meno fare la transizione energetica ed ecologica che riparare i danni prodotti dal riscaldamento globale (peraltro non tutti riparabili). Sono argomenti noti almeno dal 2006, quando l’economista della Banca Mondiale Nicholas Stern, professore della Oxford University, presentò il celebre rapporto (che porta il suo nome) all’allora premier inglese Tony Blair e a Gordon Brown, cancelliere dello scacchiere di quel paese. Fu il primo studio a mettere nero su bianco le conseguenze catastrofiche sull’economia derivanti dal riscaldamento globale. Evidentemente in Italia sono tanti i decisori politici che non lo hanno letto.
Non avranno letto nemmeno una recente intervista al premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz, in cui lancia l’idea di un patto tra le democrazie per l’ambiente, per evitare il disastro anche sociale. Stiglitz sprona a intervenire con urgenza perché non c’è più tempo da perdere.
L’orologio climatico che ho fatto installare in Assemblea legislativa (consultabile anche sul sito dell’Assemblea) è impietoso: mancano solo poco più di sei anni al punto di non ritorno nella lotta al riscaldamento globale. Il governo Meloni, invece, sceglie il rinvio.
Goodnight and good luck!