Alla faccia di coloro, che siano meloniani o lettiani, che mi etichettano come “putiniano” solo perché non avallo l’aggressione della Nato contro la Russia e chiedo una pace giusta in Ucraina, ho firmato l’appello per la liberazione di Boris Kagarlitsky su proposta del Segretario di Rifondazione Comunista, Maurizio Acerbo. Kagarlitsky rappresenta la continuità del pensiero marxista russo, che ha dato all’umanità e alla sua lotta per una vita migliore importanti contributi, ben esemplificati dalla figura di Vladimir Lenin, il cui pensiero è oggi più che mai attuale, a condizione di recuperarlo nella sua integrità e pienezza, demistificando le deformazioni cui è esso è stato sottoposto a partire dal suo successore alla guida dell’Urss, Josep Stalin.
Secondo l’appello che ho firmato “Kagarlitsky è una delle voci più autorevoli di opposizione a Putin come precedentemente a Eltsin e in generale all’oligarchia che si è arricchita dopo la restaurazione del capitalismo in Russia”. Al tempo stesso, pur condannando la guerra, Kagarlitsky ha giustamente ravvisato la natura autonoma del movimento popolare che ha reclamato l’indipendenza del Donbass, dopo il golpe Nato di Maidan e la sterzata nazionalistica impressa al governo di Kiev colla sua politica oppressiva nei confronti dell’ampia minoranza russofona ucraina, che come noto sono state le premesse dell’attuale conflitto.
Liberarlo significherebbe quindi un passo avanti verso un’autentica democrazia socialista in tutta la regione e verso la pace, ponendo fine all’insensato macello che sta distruggendo intere generazioni a esclusivo beneficio delle oligarchie e del disegno politico statunitense di scavare un fossato incolmabile tra Russia ed Europa.
Assistiamo ogni giorno di più alla degenerazione del conflitto che tende assumere un carattere sempre più globale. Ciò deriva dal fatto che per l’Occidente in crisi di egemonia esso rappresenta una sorta di ultima frontiera e che prepara, nelle intenzioni apertamente palesate dai neocon che decidono la politica di Washington, altri conflitti, soprattutto contro la Cina popolare, volti a difendere fino all’ultimo sangue (oggi degli ucraini, domani di tutti gli europei) il primato oramai insostenibile della potenza statunitense, il cui ruolo sulla scena internazionale continua a declinare da oltre vent’anni, dopo le illusioni del decennio del “nuovo ordine mondiale” che aveva fatto seguito alla fine dell’Unione sovietica.
Il ruolo del governo italiano in tutto ciò è per un lato prevedibile e per l’altro sempre più sconfortante. Come sul piano della politica sociale, contrassegnato da uno spudorato attacco ai settori economicamente più deboli, coll’abolizione del reddito della cittadinanza e il rifiuto del salario minimo, anche su quello della politica estera Meloni & C. non fanno altro che rilanciare, esasperandole al massimo grado, le attitudini proatlantiche già manifestate da tutti i governi precedenti, colla parziale eccezione dei governi Conte Uno e Due.
Paradossalmente il falco Crosetto, principale referente del complesso militare-industriale italiano e internazionale, invoca oggi, in modo del tutto semiserio, il negoziato colla Russia e colla Cina, mentre la sua caporalmaggiore Meloni si genuflette a Washington e ribadisce il proprio cieco sostegno alle scelte di Biden, preparandosi forse a buttare a mare perfino il Memorandum of Understanding con la Cina su cui si appuntano, a ragion veduta, anche le speranze di importanti settori dell’industria nazionale, consapevoli dei benefici a breve, medio e lungo termine che si possono ricavare da un rapporto cooperativo e aperto col governo di Pechino, che oltre ad essere un’enorme potenza sul piano economico e finanziario (oltre che della ricerca nei settori oggi più innovativi, specie nel settore dell’energia alternativa e della salvaguardia ambientale), rappresenta oggi anche la principale speranza di chi crede nella pace e non si rassegna all’incubo della guerra nucleare mondiale.
Kagaritsky è stato arrestato pochi giorni fa con la ridicola accusa di propagandare il terrorismo. Egli in realtà rappresenta la voce di chi, anche in Russia, vuole una giusta pace promuovendo al tempo stesso il diritto all’autodeterminazione del Donbass e della Crimea. Cofondatore del Partito russo del Lavoro e attento analista del fallimento del capitalismo nel suo Paese, Kagarlitsky ci rammenta l’importante presa di posizione della Terza Internazionale e di Lenin in un momento, quello immediatamente antecedente alla Prima Guerra mondiale, per molti versi simile all’attuale: impedire lo scoppio della guerra colla rivoluzione o trasformare la guerra in rivoluzione. Una parola d’ordine più che mai attuale anche per gli esausti e frustrati popoli europei, tra i quali il nostro, e specie per coloro che, in seno a tali popoli, non si rassegnano all’idea di essere le vittime designate del capitalismo e della guerra.