Dai paesi sull’Appenino bolognese fino agli hotel della Riviera, l’Emilia Romagna aspetta ancora i primi aiuti da parte del governo italiano. Imprenditori, agricoltori, sindaci, ma anche comunità rimaste senza scuole e piccole aziende di famiglia che devono ripartire da zero: l’allarme lanciato nei giorni scorsi dal presidente della Regione Stefano Bonaccini – che ha denunciato che i fondi previsti sono “insufficienti per la ricostruzione pubblica” mentre alle imprese ancora “nulla” è stato dato – ha molti nomi e volti. E tanti di questi, a quasi tre mesi dall’alluvione che ha devastato la regione, sentono di essere stati abbandonati dall’esecutivo di Giorgia Meloni. “Senza ristori siamo perduti – dice Daniele Gieri, un agricoltore di Conselice in provincia di Ravenna – Dopo tutto quello abbiamo vissuto, ci siamo ritrovati a dover contare soltanto sulle nostre forze. E questo fa venire molta rabbia”.

“Viviamo nell’attesa” – L’unico contributo arrivato è quello erogato dalla Regione, che prevede per chi è stato colpito dall’alluvione un acconto di 3mila euro subito e un secondo eventuale saldo di 2mila euro. Gieri è uno dei tanti imprenditori agricoli della Romagna che passano le giornate a scavare i campi con trattori e ruspe per togliere gli strati di limo e fango che ancora coprono le colture. Nel Ravennate l’acqua si è ritirata da qualche settimana lasciando danni per milioni di euro. Al mancato raccolto si aggiungono le risorse impiegate per ripristinare i terreni e ricostruire gli impianti distrutti. “Continuiamo a spendere soldi senza sapere se ci tornerà indietro qualcosa – continua Gieri – abbiamo debiti da coprire e viviamo nell’attesa che il governo sblocchi i tanto promessi aiuti”. Il settore agroalimentare emiliano-romagnolo è uno dei più redditizi d’Europa, tanto da essere stato soprannominato “Fruit Valley”. Ma tornare al benessere che c’era prima dell’alluvione sarà complicato e per questo secondo Gieri è importante che arrivino sostegni a lungo termine: “Ci aspettano anni senza raccolti perché i frutteti che sono andati distrutti non ricrescono nel giro di un’annata”.

“Meloni mi ha detto: ‘Prometti che riaprirai’” – Circa quaranta chilometri più a sud, a Faenza, Volturno Valgimigli e i suoi collaboratori stanno ancora ripulendo dal fango i macchinari della storica tipografia “Valgimigli”. Mentre si muove per il magazzino il titolare 65enne zoppica vistosamente: “A furia di spalare e trasportare secchi pieni di fango mi sono consumato le ginocchia e dovrò sottopormi a trapianti di cartilagine. Mentre dallo Stato non ho ricevuto un euro”, spiega. Durante la visita istituzionale a Faenza il 21 maggio, Valgimigli racconta di aver incontrato la premier Meloni: “Mi aveva chiesto: ‘Promettimi che riaprirai’. Ma se ci sono riuscito è solamente grazie alle mie forze e ai ragazzini volontari che mi hanno aiutato a liberare il magazzino”. I danni? “Almeno un milione di euro, tutti i macchinari distrutti. Ero convinto che non avrei più riaperto”.

Hotel e stabilimenti balneari arrancano – Ma lunga scia di incertezza e difficoltà legate al post-alluvione arriva fino alle zone che hanno ricevuto pochissimi o nessun danno. Come le strutture ricettive e gli stabilimenti balneari della Riviera. Qui il fango e i detriti trasportati dai fiumi immissari hanno compromesso la balneabilità di decine di aree marittime facendo scattare la zona rossa nelle prime settimane di stagione turistica. Non tutti riusciranno a tamponare le perdite causate dall’ondata di disdette alle prenotazioni di maggio e giugno, che solo nella provincia di Rimini sono state quasi due milioni: “È agosto e siamo pieni solo per metà” spiega Alessandro Giorgetti, presidente di Federalberghi Emilia-Romagna e dipendente dell’hotel “San Giorgio Savoia” di Igea Marina. Allo stato dell’arte hotel, alberghi e bagni sono tagliati fuori da qualsiasi aiuto statale: “È un dramma perché non esistono ristori per i danni indiretti, come la paura dei visitatori e una certa pubblicità negativa”. Anche per Gianluca Bassani, titolare del campeggio “Adria” a Casalborsetti, si tratta di una stagione complicata: “Per fortuna abbiamo fatto il pieno di presenze lo scorso inverno. Abbiamo trascorso un mese e mezzo senza ricevere telefonate”.

Senza scuole né servizi sociali – Il paese di Solarolo è invece rimasto senza scuole e servizi sociali importanti. Il Comune conta poco più di 4mila abitanti e 8 milioni di euro di danni. Durante l’alluvione l’acqua che si è alzata fino a un metro e cinquanta ha travolto l’asilo nido, le scuole di ogni grado e la piscina comunale. La situazione più critica riguarda il plesso delle medie e l’asilo nido, di cui è rimasto intatto soltanto l’edificio. L’amministrazione comunale sta correndo contro il tempo per riuscire a ricostruire in tempo per l’inizio del nuovo anno scolastico a settembre. E per farlo sta impiegando tutte i mezzi economici disponibili. Ma le casse comunali stanno ancora attendendo che lo Stato rimborsi le risorse impiegate in somma urgenza per soccorrere i residenti nei giorni dell’emergenza: “È fondamentale che arrivino subito, così come i fondi da parte del Ministero dell’Istruzione per il ripristino delle scuole”, dice il sindaco Stefano Briccolani. Nell’attesa si cercherà di far ripartire le lezioni trasferendo gli alunni nei plessi delle scuole materna ed elementare, meno toccati dal disastro, con tutti i disagi del caso. A pochi passi dall’asilo nido c’è la sede di un’altra realtà ancora ginocchio. È l’associazione volontaria “Monsignor Giuseppe Babini” che da molti anni costituisce un sostegno molto importante per la fascia più debole della popolazione di Solarolo come disabili, emarginati e anziani organizzando trasporti verso gli ospedali, consegne di cibo a domicilio e servizi di accompagnamento, con una media di venti corse al giorno. Nell’alluvione ha perso tutti gli automezzi compresa un’ambulanza: “Le persone continuano a chiederci dei servizi ma per noi sta diventando impossibile continuare – spiega il presidente Luigi Mainetti -. Siamo costretti a mettere a disposizione le nostre auto”.

“Siamo fermi a tre mesi fa” – “Ho già impegnato 300mila euro per gli interventi più urgenti e non ho ancora visto un euro”. A Castel del Rio, nel Bolognese, la situazione “è ancora drammatica”, racconta il vicesindaco Davide Righini. Il paese è stato uno dei più martoriati dalle frane e dagli smottamenti che hanno travolto tutto l’Appennino tosco-emiliano. Gran parte delle strade sono crollate e per settimane intere frazioni sono rimaste isolate. Alcune vie sono state riaperte riempiendo di ghiaia le crepe nell’asfalto. Ma gli interventi da fare per mettere in sicurezza tutte le strade ammontano a venti milioni di euro. “Siamo fermi a tre mesi fa – prosegue Righini -, abbiamo rendicontato, abbiamo pianto, ma non ci è ancora arrivato niente e non si sa quando ci arriverà”. Fino alla scorsa primavera era meta gettonata per il cicloturismo elettrico. Oggi Castel del Rio si rimette nelle forze dei suoi pochi abitanti: “Finché non torna a piovere siamo salvi – conclude il vicesindaco –, ma la cosa che fa più rabbia è che nonostante gli sforzi, solo nostri, non vediamo cambiamenti all’orizzonte”.

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