LA TELEFONATA DI CIAVARDINI – Il giovanissimo Ciavardini, consapevole che qualcosa di spaventoso sarebbe successo nella stazione di Bologna, avverte con una telefonata la fidanzata e alcuni amici che sono in partenza da Roma per Venezia. A raccontarlo ai giudici è Cecilia Loreti, amica di Elena Venditti, fidanzata del terrorista. La teste racconta che il 1 agosto era arrivata una telefonata a casa del suo fidanzato Marco Pizzari, con la quale Ciavardini “aveva invitato lei e la Venditti a differire la partenza per Venezia adducendo generiche difficoltà”. Il giorno dopo c’era stato il “botto”, Loreti preoccupata ne aveva chiesto conto a Ciavardini: quest’ultimo ovviamente “aveva negato ogni sospetto di connessione con la strage“. Dopo aver escluso di aver fatto la telefonata però Ciavardini aveva ammesso di aver chiamato parlando genericamente di mancanza di “documenti di identità falsi di cui aveva bisogno nella sua condizione di latitante”. È , invece, “pacifico – sostiene la sentenza – che egli aveva la disponibilità di un documento (falso) che avrebbe “bruciato” solo successivamente, il 4 o 5 agosto, allorché l’aveva esibito in occasione di un modesto incidente stradale. Per la corte il racconto della Loreti, fatto per la prima volta nel dicembre del 1980, è credibile. Successivamente lo stesso Ciavardini il 24 ottobre del 1984, interrogato dal giudice istruttore disse: “Non escludo di aver telefonato a Roma per indurre i miei amici a spostare il viaggio ad una data successiva, rispetto a quella programmata del 1 agosto”. Questa leggerezza a Ciavardini stava costando la vita e costò sicuramente “l’ostilità di Valerio Fioravanti” “attestata dalla Venditti ed ammessa dallo stesso Ciavardini” citando le dichiarazioni di Angelo Izzo (il mostro del Circeo, ndr). Al giudice istruttore Izzo raccontò: “Cristiano (fratello di Fioravanti, ndr) mi riferì che il fratello Valerio gli aveva detto di continuare a tener fuori Ciavardini dalle accuse per l’omicidio Amato perché sapeva delle cose sulla strage di Bologna. Anzi non ricordo se Cristiano mi abbia detto, però in altra occasione, che Ciavardini poteva ‘incastrarlo’ per la strage alla stazione di Bologna…”.

L’OMICIDIO MANGIAMELI – Francesco Mangiameli, militante di Terza posizione, che ospitò Mambro e Fioravanti fino a pochi giorni prima della strage, fu ucciso il 9 settembre 1980, perché identificato come il “Ciccio” che stava parlando con il Sisde dei progetti dell’eversione di destra. Assassinio commesso da Valerio Fioravanti e gli altri Nar che per i giudici è stato “un ulteriore elemento indicativo del coinvolgimento dell’imputato nella strage”. Scrivono i giudici di secondo grado “la precipitosità con la quale era stato portato a segno il delitto, subito dopo l’intervista di Spiazzi all’Espresso e la precisa sensazione diffusasi nell’ambiente eversivo dell’identificazione del “Ciccio” nel Mangiameli, il quale aveva mostrato così, per i suoi contatti con il col. Spiazzi, collaboratore del Sisde, e per la piega che avevano preso le indagini, di essere un soggetto vulnerabile e pericoloso – portavano ad individuare la causale dell’omicidio nell’intendimento di Fioravanti di eliminare un possibile testimone della sua responsabilità. La riprova documentale di tale assunto è rappresentata dal volantino di T.P. (Terza posizione, ndr) che parla della 85a vittima”. Per la procura generale di Bologna, le cui indagini poi hanno portato negli ultimi tre anni alle condanne in primo grado di Gilberto Cavallini (Nar) e Paolo Bellini (Avanguardia Nazionale), Mangiameli fu ucciso dal commando proprio perché “si dissociò dal progetto”.

I FALSI ALIBI – In premessa al capitolo che riguarda gli alibi degli imputati, i giudici di primo grado sottolineano che l’assenza di “alibi non è un dato di per sé univocamente indiziante per chi, vivendo nella clandestinità abbia, proprio a causa della stessa, difficoltà obiettive nel dar attendibilmente conto dei propri spostamenti e delle proprie frequentazioni in determinati periodi, che possono essere processualmente significativi. Altrettanto correttamente si è aggiunto che la situazione degli imputati Mambro e Fioravanti è però diversa. Essi invero hanno tentato, ‘a posteriori’, di costruirsi un alibi, che è naufragato fra le contraddizioni, interne e reciproche’, le smentite provenienti da più parti. Se gli imputati – ragionano i magistrati – non avessero avuto alcunché da nascondere, non sarebbero forse stati in grado di fornire un alibi attendibile. Ma, in tal caso, nel rendere una versione veritiera, non si sarebbero contraddetti l’un l’altra, né si sarebbero esposti a smentite. Il fatto è che essi hanno mentito agli inquirenti, ma già prima, fornendo a ciascuno un racconto diverso, avevano mentito ai loro sodali: a Cristiano, al Cavallini (Gilberto, ndr)… La strage doveva essere tenuta nascosta anche alle persone con cui, sino a quel momento, gli imputati avevano compiuto ogni sorta di attività criminale. L’assenza di un versione, reale e veritiera, che allontanasse gli imputati dal luogo dell’eccidio nella mattina del 2 agosto, ha poi ingenerato le contraddizioni, seguite dai vari aggiustamenti, all’esito dei quali, assai faticosamente, il terzetto Fioravanti, Mambro, Ciavardini, si è ricomposto attorno alla versione che vuole costoro presenti in Padova in occasione della strage. Oltre alle varie circostanze già segnalate, non deve sfuggire come il Fioravanti avesse in un primo tempo escluso la presenza del Ciavardini, oggi raggiunto da comunicazione giudiziaria per il delitto di strage, e, al pari del Fioravanti e della Mambro, sprovvisto di alibi per la giornata del 2 agosto”.

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Così Fioravanti “confessò” la strage di Bologna. Tutte le prove sulla “piena responsabilità” anche di Mambro e Ciavardini nelle sentenze di condanna

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