Dopo le esternazioni innocentiste di Marcello De Angelis – portavoce della Regione Lazio – è necessario mettere in fila nuovamente le motivazioni di condanna degli imputati della strage fascista di Bologna. Il 2 agosto 1980 una bomba squarciò la sala d’attesa di seconda classe maciullando i corpi di 85 persone e lasciando nella polvere e sotto le macerie le esistenze di altre 200. Leggenda vuole – tra depistaggi vari e il delirio negazionista sulla matrice nera – che Valerio Fioravanti e Francesca Mambro abbiamo sempre respinto la responsabilità dell’eccidio. In realtà per chi conosce e ha letto le tre sentenze di condanna di un complesso iter processuale – con un annullamento, un rinvio della Cassazione e diversi altri imputati – sa che proprio tra le prove contro i due terroristi neri, “in regime di comunione di vita, di ogni esperienza umana, politica e criminale”, c’è la “confessione stragiudiziale” che l’allora 22enne fece a Massimo Sparti, un criminale comune vicino alla Banda della Magliana, quando subito dopo la strage cercava affannosamente documenti falsi per la donna, accompagnando la pressante richiesta con minacce nei confronti del figlio dell’uomo.
Agli atti c’è la telefonata di Luigi Ciavardini, allora 17enne e condannato dal Tribunale per i minorenni, che chiama per avvertire un gruppo di amici e la fidanzata in partenza da Roma per Venezia il 1 agosto di rimandare assolutamente il viaggio. Tra gli elementi evidenziati dai giudici anche il “disegno” degli imputati di uccidere Ciavardini che, dopo la telefonata che di fatto svelava la strage, era diventato “una bomba vagante”. Infine il “baratto”, che i giudici evidenziano, su cui a un certo punto ripiegarono” i terroristi ragazzini che decisero che avrebbero “coperto le responsabilità di Ciavardini per l’omicidio Amato (il sostituto procuratore che indagava sui movimenti eversivi di destra ucciso il 23 giugno 1980, ndr) in cambio del suo silenzio sulle cose che sapeva circa la strage di Bologna”.
Nella lista delle prove c’è anche il movente dell’omicidio di Francesco Mangiameli, “individuato nella necessità di eliminare il pericolo, reso palese dall’intervista di Amos Spiazzi all’Espresso, che l’esponente di Terza Posizione fosse divenuto un inaffidabile depositario di delicate conoscenze che concernevano la strage”. Nell’intervista l’ufficiale del Sisde rivelava che la destra eversiva si era riorganizzata, ”per una più decisa strategia terroristica” e ”indicava quale fonte informativa di tale realtà, un aderente allo stesso movimento, denominato ‘Ciccio”. Dunque, Mangiameli era stato ucciso, concludono i giudici della Cassazione ”solo allorquando, attraverso la divulgazione dell’intervista rilasciata dal colonnello Spiazzi, chi quella strage aveva eseguito ha avuto la materiale certezza che Mangiameli potesse rivelare ciò di cui era venuto a conoscenza”. Ci sono poi gli alibi riferiti, poi corretti, degli imputati franati scrivono i giudici sotto il peso dei tanti riscontri.
LA CONFESSIONE DI GIUSVA – “Una sorte di terrorista a tempo pieno in virtù dell’audacia e dell’efferatezza, assurge al ruolo di un vero e proprio ‘comandante militare” scrivono di Giuseppe Valerio Fioravanti i giudici dell’Assise di Bologna che l’11 luglio 1988 emisero il primo verdetto. Sentenza in cui individuano proprio nel comportamento dell’allora 22enne una delle prove sulla responsabilità del massacro. Fioravanti va da Sparti due giorni dopo la strage a chiedere documenti per la Mambro. Interrogato l’uomo racconta che Giusva si presentò il 4 agosto a casa sua con la donna che non conosceva: “… Mi parlò di questa in termini elogiativi dicendo che aveva trovato la donna della sua vita …”, poi la frase passata alla storia: “Hai visto che botto”. “Aggiunse che a Bologna si era vestito in modo da sembrare un turista tedesco, mentre la Mambro poteva esser stata notata per cui aveva bisogno urgentissimo di documenti falsi e le aveva anche fatto tingere i capelli. Pretendeva che in giornata gli facessi avere una patente ed una carta d’identità di cui mi fornire le generalità… Feci presente l’impossibilità di procurare documenti in giornata e – prosegue il racconto del testimone – Valerio si infuriò dicendomi che dovevo spezzarmi ma darglieli in fretta. In questa occasione io, spaventato dalla enormità della cosa, lo pregai di non parlarmi neppure di queste cose, lui replicò che io dovevo comunque stare zitto in quanto se a lui fosse successo qualcosa ci sarebbe stato qualcuno che me l’avrebbe fatta pagare e aggiunse precisamente ‘te lo faccio piangere io Stefanino tuo’ alludendo a mio figlio”. I documenti furono procurati velocemente: “Il giorno dopo e lui venne a ritirarli verso le 10 di mattina a casa mia, dicendomi che doveva andare in Sicilia con la Mambro”. Sparti per i documenti si rivolse a un falsario, Fausto De Vecchi, che pur non sapendo a chi erano destinati confermò ai giudici di averli prodotti. La attendibilità di Sparti è stata considerata valida da tutti i giudici che hanno condannato gli imputati. Per i magistrati dell’Assise e del secondo appello ( 16 maggio 1994) poi confermato dalla Cassazione (23 novembre 1995): “Non v’è dubbio …che le parole e l’atteggiamento del Fioravanti, così come sono stati riferiti, costituiscano un’assunzione di responsabilità, e, dunque, sia pure in termini allusivi e non espliciti, una sorta di confessione stragiudiziale…”. A Sparti fu chiesto di modificare la sua versione prima da un avvocato, poi dalla moglie.