Ha passato mesi a dire che le intercettazioni in Italia sono troppe e il loro uso va ridotto. Ma il primo provvedimento in materia che il Guardasigilli Carlo Nordio porterà in Consiglio dei ministri andrà nel senso esattamente opposto: estenderà la possibilità per i pm e la polizia giudiziaria di ascoltare le conversazioni altrui. A dar vita al paradosso è stata la decisione di palazzo Chigi di intervenire con una norma ad hoc per neutralizzare i rischi di depotenziamento del contrasto alle mafie insiti in una recente decisione della Cassazione. Vediamo di che si tratta. Con una sentenza depositata il 21 settembre 2022 (la numero 34895) nell’ambito di un procedimento per camorra, la Prima sezione penale della Suprema Corte ha dichiarato illegittime e quindi inutilizzabili alcune intercettazioni disposte secondo il regime più “largo” previsto per i “delitti di criminalità organizzata” rispetto a quelli comuni: indizi di reato “sufficienti” anziché “gravi”, durata di quaranta giorni anziché 15 del decreto autorizzativo, possibilità di piazzare cimici anche dove non si sta compiendo attività criminosa. Il motivo? Il reato contestato dalla Procura non era l’associazione mafiosa (articolo 416-bis del codice penale), ma “solo” un reato (nello specifico un omicidio) ad aggravante mafiosa, cioè commesso “al fine di agevolare” l’organizzazione o “avvalendosi delle condizioni” da essa create (articolo 416-bis.1). Secondo i giudici del Palazzaccio, infatti, “indefettibile (…) per integrare la nozione di delitti di “criminalità organizzata”, è la contestazione di una fattispecie associativa, anche comune”. E quindi, nel caso di specie, l’intercettazione (ambientale) andava autorizzata dal gip secondo il regime classico e più restrittivo.

Quella della Prima sezione è una sorta di “interpretazione autentica” delle sentenze precedenti emesse dalle Sezioni unite sullo stesso tema, che finora sono state interpretate in modo discontinuo dai giudici di merito. Perciò l’orientamento restrittivo diventerà probabilmente uno standard e rischierà di far saltare i processi in corso in cui le intercettazioni sono state disposte secondo il criterio considerato valido in precedenza. L’allarme è arrivato (in via riservata) negli scorsi mesi al sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, magistrato, dai suoi colleghi delle Direzioni distrettuali antimafia e anche dalla Procura nazionale, guidata da Giovanni Melillo: il pericolo, si è detto, è quello di far saltare il sistema del “doppio binario” che distingue la disciplina dei reati di criminalità organizzata da quella dei reati comuni. Così l’esecutivo si è convinto a metterci una pezza. L’intenzione è stata prima anticipata da Mantovano al Corriere della sera (con l’obiettivo, nemmeno troppo nascosto, di controbilanciare l’improvvida dichiarazione di Nordio sul concorso esterno) e poi confermata dalla stessa Giorgia Meloni: nel Consiglio dei ministri dello scorso 17 luglio la premier “ha sottolineato l’importanza delle implicazioni della sentenza”, che “potrebbe comportare l’inutilizzabilità del materiale probatorio acquisito sulla base dell’interpretazione precedente”, e ha definito “necessaria e urgente l’adozione di una norma” che ne sterilizzi le conseguenze, recitava un comunicato di palazzo Chigi. “Un omicidio commesso avvalendosi di modalità mafiose o commesso al fine di agevolare un’associazione criminale non sarebbe un delitto di criminalità organizzata, secondo la Cassazione. Appare evidente come questa decisione si presti a produrre effetti dirompenti su processi in corso per reati gravissimi”, le parole attribuite a Meloni.

L’unico a non rivendicare l’intervento, invece, è stato proprio Nordio, cioè il ministro competente per materia: e forse non è un caso. Nell’arco delle ultime settimane, infatti, il piano d’azione del governo è cambiato in un senso a lui poco gradito. In un primo momento Chigi, “d’intesa con il ministro della Giustizia”, aveva comunicato di voler intervenire con una norma di interpretazione autentica, cioè – per usare le parole di Mantovano – “una definizione di criminalità organizzata attraverso una legge, come fu fatto quarant’anni fa per definire l’associazione mafiosa”. La soluzione adottata invece sarà diversa e passerà, appunto, per un ampliamento della possibilità di intercettare: in uno dei due decreti-legge all’esame del Consiglio dei ministri di lunedì (l’ultimo prima della pausa estiva) ci sarà una norma che estenderà in modo esplicito le regolespeciali” alle indagini su una serie di reati, tra cui i sequestri di persona a scopo di estorsione, il traffico illecito di rifiuti, le fattispecie di terrorismo e, ovviamente, quelle ad aggravante mafiosa. Insomma, il Guardasigilli, grande fustigatore degli ascolti telefonici, non è ancora riuscito a ridurne la quantità. Ma in compenso si prepara – suo malgrado – a portare in Cdm il secondo testo in meno di un anno che li estende: il primo, infatti, era il famigerato “decreto Rave” dello scorso ottobre, con cui ha introdotto una nuova fattispecie di reato punita nel massimo con più di cinque anni di carcere. Che quindi consente il ricorso alle intercettazioni. Proprio quelle che per Nordio sono “una barbarie che costa duecento milioni l’anno”.

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