Era davvero necessario? Questa la domanda che si pone a distanza di 78 anni dal quel 6 agosto del 1945, quando alle otto e quindici minuti la città di Hiroshima fu devastata dalla prima bomba atomica nella storia dell’umanità, seguita il 9 agosto da un secondo ordigno su Nagasaki.
Chi sostiene che fosse inevitabile, ricorda che il Giappone non si sarebbe mai arreso facilmente, e che un’invasione di terra avrebbe causato la morte di milioni di soldati americani e civili giapponesi. Chi invece ritiene aver usato quegli ordigni un crimine contro l’umanità osserva che oramai nel 1945, l’esito della Seconda guerra mondiale dopo la caduta della Germania era chiaro anche agli stessi giapponesi. Se gli alleati avessero cercato un accordo con il Giappone accettando alcune condizioni piuttosto che pretendere esclusivamente una resa incondizionata, l’uso della bomba atomica si sarebbe potuto evitare. Tra l’altro la resa del Giappone il 15 agosto 1945 fu dovuta più alla dichiarazione di guerra dell’Urss, che fino a quel momento aveva un patto di neutralità con l’impero giapponese più che alla bomba. Il cosiddetto “Interim Committee” nominato dal presidente Truman valutò e scartò la possibilità di usare l’ordigno solo a scopo dimostrativo, senza causare vittime.
Gli ultimi mesi della Seconda guerra mondiale sono stati quelli con il numero più alto di vittime. Avendo ormai raggiunto una superiorità aerea, gli alleati avevano sviluppato gli attacco tramite la cosiddetta “tempesta di fuoco”. Nel febbraio 1945 sulla città di Dresda in Germania, (detta la “Firenze del Nord”, per il suo incredibile patrimonio artistico) furono sganciate 650.000 bombe incendiarie sul centro storico, ove le case erano per lo più di legno e le strade strette. L’incendio risultante sviluppò temperature superiori ai 1000 gradi centigradi e venti ascensionali che letteralmente risucchiarono nelle fiamme molte persone. Il bombardamento del marzo 1945 di Tokyo causò oltre 100.000 vittime e lasciò un milione di persone senza una casa. Per confronto, le vittime a Hiroshima furono tra 70.000 e 150.000.
I chimici tedeschi Otto Hahn e Fritz Strassmann scoprirono nel 1938 la reazione di fissione nucleare, di fatto aprendo la possibilità almeno teorica di costruire un ordigno atomico. Tra la comunità di scienziati immigrati negli Usa c’era la preoccupazione che fossero i nazisti a poter ottenere per primi una simile bomba. La visione degli scienziati come persone chiuse nei propri laboratori a costruire qualcosa per il bene dell’umanità non è sempre reale.
Durante la Prima guerra mondiale il premio Nobel per la chimica francese Victor Grignard e quello tedesco Fritz Haber parteciparono attivamente su fronti opposti allo sviluppo di armi chimiche. Il film Oppenheimer di Christopher Nolan racconta del fisico americano che fu esaltato come un eroe nazionale per aver dato un contributo decisivo nello sviluppo della bomba atomica e considerato un paria dal governo americano quando invece si oppose allo sviluppo di quella all’idrogeno.
Fu Oppenheimer stesso a proporsi in prima persona per dirigere i laboratori di Los Alamos. Al di là del film (che uscirà in Italia il 23 agosto) è vero che Oppenheimer fosse una personalità geniale con un carattere decisamente complesso. Era un fumatore compulsivo. Secondo il suo amico Francis Fergusson, ammise di aver lasciato una mela avvelenata sul tavolo del suo tutore Patrick Blackett, un futuro premio Nobel con il quale aveva una relazione scientifica conflittuale. Oppenheimer chiese anche a Enrico Fermi di mettere da parte la sua proposta avvelenare il cibo in Germania con dello stronzio-90 (radioattivo), perché riteneva preferibile aspettare che fosse stato possibile uccidere “almeno mezzo milione di tedeschi” con questo metodo.
Fino a metà degli anni 30, Oppenheimer non si occupò di politica o attualità. Infatti, non votò prima delle elezioni presidenziali del 1936 e scoprì solo mesi dopo che era avvenuto il crollo economico del 1929, tramite una conversazione con un amico.
La versatilità e capacità di Oppenheimer di occuparsi di molti problemi diversi tra loro, dalla fisica nucleare all’astrofisica e persino allo studio del sanscrito, fu cruciale per il successo dell’intero progetto Manhattan. Furono spesi circa 2 miliardi di dollari dell’epoca (equivalenti a oltre 20 miliardi di oggi) per costruire tre ordigni, di cui uno fu detonato nel deserto come test e gli altri due sulle città giapponesi. Il 90% delle spese fu per il processo di arricchimento dell’uranio nell’isotopo fissile U235, la cui abbondanza naturale è solo dello 0.7%. Il progetto impiegò fino a 150.000 persone, che nella stragrande maggioranza non sapevano a che cosa stavano lavorando.
Dopo aver investito tutte queste risorse, è ragionevole pensare che quelle bombe rimanessero chiuse in un deposito senza essere usate? Colpirono il Giappone, ma mandarono un messaggio a tutto il mondo e in particolare all’Unione Sovietica.
Oppenheimer divenne incredibilmente popolare immediatamente dopo la fine della guerra, proprio come una “virostar” moderna. Usò la sua influenza mediatica per opporsi al progetto governativo della bomba all’idrogeno, che aveva una potenza distruttiva migliaia di volte quella della bomba di Hiroshima e per chiedere discussioni più aperte con la popolazione americana sui reali costi e benefici dell’energia nucleare. In piena follia maccartista nel 1954 fu accusato di aver partecipato anni prima ad alcune riunioni del partito comunista americano. Durante l’inchiesta, alcuni suoi colleghi (mossi anche dall’invidia?), tra cui Edward Teller che è considerato il padre della bomba all’idrogeno, testimoniarono contro di lui, sostenendo che la sicurezza nazionale non poteva essere messa in mando di una persona con il suo carattere. Fu pienamente riabilitato solo dopo la sua morte.
Il dibattito tra gli scienziati che cercano di valutare tutti gli aspetti dell’uso dell’atomo anche per produrre energia, soprattutto quelli geopolitici, e coloro che invece lo sposano in modo dogmatico cercando di silenziare chi ha dubbi con metodi similfascisti, continua anche oggi.